Reddito di cittadinanza e le politiche per il lavoro – di Vincenzo Mannino

Reddito di cittadinanza e le politiche per il lavoro – di Vincenzo Mannino
Sono trascorsi circa due anni e mezzo dall’istituzione del Reddito di cittadinanza e quasi tre dall’annuncio della imminente abolizione della povertà. La Pandemia ha rovesciato gli scenari. Ma il Reddito di cittadinanza è rimasto un terreno di scontro che raramente si apriva al confronto. Se si discute di una misura che per alcuni è intoccabile e per altri va abolita è come giocare a tennis con il muro. Queste posizioni stentano ad evolversi. Il M5S deve difendere la misura, altri – come Renzi – parlano di referendum abrogativo. I problemi – della povertà e dell’occupazione – rimangono. Non servono passi indietro ma soluzioni nuove.
Da poco – tuttavia – sono cominciati ad emergere dati che permettono di guardare dentro il Reddito di cittadinanza, di vagliare gli insegnamenti di questa esperienza. Precedentemente le polemiche ne avevano colorito gli abusi ( indebitamente percepito, percepito con dichiarazioni mendaci, percepito da condannati, percepito da persone che il senso comune ritiene comunque non meritevoli, percepito da evasori e così via). Controlli più sistematici della Guardia di Finanza rendono frequenti le notizie: nel 2020 sono stati percepiti indebitamente 50 mln di euro. Sono abusi numerosi e che palesano difetti di concezione e organizzazione della misura. Ma la gran parte delle risorse ha raggiunto beneficiari bisognosi.
Più recente la questione dei beneficiari che rifiutano di lavorare, cioè della domanda se il Reddito di cittadinanza degenera in effetti anti sviluppo e pro economia sommersa. Si aggancia la discussione sui bassi livelli dei salari in alcuni comparti. In generale i beneficiari del Reddito di cittadinanza non sono troppi, cioè non sono più dei poveri. Il Rapporto Caritas (“lo studio più ricco e più articolato finora prodotto sull’attuazione del Reddito di cittadinanza in Italia” CLICCA QUI ) dà un positivo giudizio di sintesi: “si tratta di un intervento ben finanziato ed erogato a un’alta quota degli aventi diritto. Una misura che ha protetto una rilevante fascia della popolazione dalle conseguenze economiche della Pandemia”. Ma “poco più della metà dei poveri non ha il Reddito di cittadinanza” e “oltre un terzo dei beneficiari Reddito di cittadinanza non è povero”.
Riguardo alla parte attiva della misura “il 48,3% dei percettori era stato indirizzato in percorsi di inclusione sociale e il 46,6% ai percorsi di attivazione lavorativa con i Centri per l’Impiego”. in un contesto di procedure complicate ha fatto irruzione il COVID. Tuttavia a mano a mano le difficoltà si precisano: “Le fasce di età degli under 30 e degli over 50, tipicamente più difficili da collocare nel mercato del lavoro … rappresentano rispettivamente il 34% e il 27% dei beneficiari tenuti al Patto per il lavoro”.
Questo è un punto chiave: “I beneficiari tenuti alla stipula del Patto per il lavoro hanno titoli di studio estremamente bassi: il 72% ha al massimo la licenza media … “ (per l’approfondimento rinvio al rapporto completo  CLICCA QUI ).
Addirittura il 6% dei beneficiari, ha sottolineato il Ministro Orlando alla presentazione del Rapporto Caritas, “non possiede alcun titolo di studio”. Anche Raffaele Tangorra, da poco Commissario di ANPAL (in un’intervista al Corriere della Sera soprattutto dedicata al programma imminente GOL, Garanzia dell’Occupabilità dei lavoratori, rivolto a tre milioni dì persone) sottolinea la bassa occupabilità dei beneficiari di Reddito di cittadinanza.
Altri elementi interessanti li aggiunge il presidente dell’INPS il 12 luglio nella presentazione del XX Rapporto INPS. “Molto spesso – afferma Tridico – si fa riferimento, nel dibattito pubblico, allo scarso ruolo che ha avuto il Reddito di cittadinanza nella ricerca del lavoro. E ciò è vero. … I percettori di Reddito di cittadinanza hanno un grado di prossimità al mercato del lavoro molto più ridotto rispetto agli altri percettori di sussidi, sia per le loro competenze ed età, sia per altre condizioni individuali. … La occupabilità dei percettori di Reddito di cittadinanza, purtroppo, è molto bassa. Un gran numero di percettori di Reddito di cittadinanza/Pensione di cittadinanza … è costituito da minori (1.350.000), disabili (450.000), persone con difficoltà fisiche o psichiche non percettori di pensioni di invalidità, oltre a circa 200.000 percettori dì Reddito di cittadinanza”.
Tiriamo le fila. Il saldo tra falsi poveri da escludere e veri poveri da includere comporterebbe un’estensione, auspicandone la sostenibilità, di un Reddito di cittadinanza affinato. E questo riguarda le politiche di contrasto alla povertà. Per quanto riguarda le politiche attive una nuova strada è stata intrapresa. Cambia la “governance” di ANPAL. Gli incrementi del personale potranno riassorbire, per via di concorso, anche (largamente?) i navigator. Nuove risorse e nuovi strumenti vengono messi in campo.
Il nodo, dunque, è che una parte estesa dei poveri, che siano già o non ancora percettori di Reddito di cittadinanza, qualunque sia l’efficacia delle politiche attive del lavoro future, non ci si può attendere che siano trasferibili nel mercato del lavoro. Si dice che hanno bassa occupabilità, e già questo è un fatto eloquente in una situazione in cui anche persone più occupabili non si occupano né tutti né facilmente. Ma forse con franchezza si può dire che molte di queste persone stanno sotto le soglie ordinarie di occupabilità, tanto più se assecondiamo le aspettative di un mondo del lavoro in cui gli operai governeranno le intelligenze artificiali, cioè a qualificazione crescente e sofisticata.
Inoltre l’attuale stock di percettori di Reddito di cittadinanza a bassa occupabilità potrebbe essere incrementato da nuovi flussi considerati gli andamenti dei giovani Neet, di cui ci si è già occupati.
Che fare allora? Rinunciare a ogni tentativo di inserire nel lavoro le persone a bassa occupabilità? Accontentarsi che lavoricchino in nero e/o sotto la soglia di un salario minimo? Mantenerli vita natural durante, abdicando a costruire un futuro legato al lavoro? Certo non è realistico aspettarsi che un sistema di politiche attive, che deve ancora dimostrare di saper occupare gli occupabili, possa impegnarsi fruttuosamente sui quasi inoccupabili. Sotto un certo livello di scolarizzazione ci vuole troppa fiducia per pensare di suscitare competenze digitali con percorsi di formazione fattibili, accessibili, sostenibili.
Una volta avrei più prontamente affermato che lo spazio per inoccupati di lungo periodo, per lavoratori socialmente o personalmente svantaggiati, era quello delle cooperative sociali di tipo B, quelle appunto di inserimento lavorativo.
È in grado oggi questo mondo di raccogliere la sfida di inserimento lavorativo su larga scala di queste persone?
È vero che in un recente studio Euricse afferma che la cooperazione sociale di inserimento lavorativo è in continua crescita ed esplorazione di nuovi ambiti di operatività. Ma oggi il mutamento degli scenari – e i grandi numeri dei bisogni sociali – sollecitano un impressionante balzo quantitativo e qualitativo.
La domanda è rivolta al movimento cooperativo e alle sue principali organizzazioni, ma ancor più a quei mondi vitali che corrispondono a culture capaci di motivare, di generare, di far germinare e crescere costantemente nuovi campi di sussidiarietà. Se così fosse, anche le politiche pubbliche utili andrebbero individuate all’incontro con le iniziative di sussidiarietà. Questo la mano pubblica può farlo, mentre è più difficile aspettarsi che assuma essa l’iniziativa.
Se la cooperazione sociale non potesse (ma in realtà anche affinché possa farcela) l’esigenza di innovazioni sociali sarebbe impellente. Comunque non può esserci risposta se non dalla mobilitazione della società civile, che deve rendere le forme giuridiche e organizzative della sussidiarietà non l’eccezione (oggi più largamente legittimata, ma sempre tale), bensì la regola per queste condizioni umane che lo Stato da solo al massimo può mantenere sulla battigia della povertà assoluta.
Bisogna accettare il fatto che i tempi attuali richiedono una crescita straordinaria, mai vista, mai sognata, di iniziative della società civile. Solo una marea di iniziative di sussidiarietà può rimettere a galla, consentire che riprendano il largo, tante vite incagliate.
Vincenzo Mannino