L’inchiesta sulla zona rossa e il nostro vivere civile – di Massimo Molteni

L’inchiesta sulla zona rossa e il nostro vivere civile – di Massimo Molteni

Pochi giorni fa c’è stato il rinvio a giudizio di una serie di uomini politici, regionali e nazionali, che si presume responsabili per la mancata attivazione della “zona rossa” in alcuni comuni della Val Seriana all’inizio della tragedia Covid nel febbraio del 2020: con loro, rinviati a giudizio anche alti dirigenti e funzionari delle massime istituzioni regionali lombarde, del Ministero della salute e dell’Istituto superiore di sanità. Ha fatto bene la magistratura oppure no?

La maggior parte dei  commentatori e degli uomini politici stigmatizza questo rinvio a giudizio, ritenuto improvvido, da qualcuno anche pericoloso: peraltro in Italia, da troppi anni, la magistratura interviene in tante questioni della vita pubblica del paese. Raramente si è alzato un coro così “bipartisan” a giudicare inopportuna l’iniziativa.

Ce lo ricordiamo che nell’ottobre 2012 il Tribunale di primo grado aveva condannato a 6 anni i membri della Commissione grandi rischi perché non avevano avvertito la popolazione dell’imminente rischio del terremoto dell’Aquila? E solo nel novembre del 2015 la Cassazione li aveva definitivamente assolti…

Ci ricordiamo – uno tra i tanti episodi – del sindaco di Crema indagato perché un bambino nella scuola materna aveva avuto la mano richiusa nella porta tagliafuoco? Sappiamo bene che se un alunno nell’intervallo dovesse causare un danno, anche inavvertitamente, ad un altro bambino, la scuola e i professori possono essere messi sotto inchiesta e condannati… Per ogni evento può scattare una indagine: e non si sa mai come andrà a finire

E’ indubitabile che la pandemia è stato un evento assolutamente imprevedibile, per come si è rapidamente sviluppata e per come si è manifestata: è altrettanto vero che specie nelle prime settimane i morti e le bare visti in Tv hanno creato sgomento. Si potevano evitare? Non era assolutamente facile capire cosa fare in quei convulsi momenti.

Sui giornali ormai quotidianamente sono presenti stralci di intercettazioni, di sms, di whats’app delle persone indagate, relativamente a quei momenti dove si doveva decidere, senza avere precisa contezza della situazione, di cosa fare e senza avere le risorse per contrastare la pandemia: mascherine, ventilatori, farmaci etc.

Anche questa condivisione mediatica dovrebbe far sorgere dei dubbi sulla liceità e opportunità: ma, anche in questo campo, da anni, sui giornali e sui social compaiono conversazioni o messaggi che, per chi li ha prodotti, dovevano rimanere privati e invece sono diventati di dominio pubblico: spesso anche di persone non indagate, spesso anche su argomenti assolutamente privati e comunque decontestualizzati dai fatti. Anche in questo caso non sembra che la maggioranza degli italiani sia così determinata a riportare un po’ d’ordine, mettendo al centro la persona e il rispetto dovutole – indagata o meno – invece che le esigenze di giustizia o peggio di informazione.

Per tornare alla inchiesta giudiziaria sulle mancate “zone rosse” emerge come la classe politica all’epoca coinvolta non avesse esercitato il proprio diritto/dovere decisionale secondo uno schema che cercasse di privilegiare sempre e comunque i cittadini che, in quel momento, erano in una condizione di maggior fragilità e debolezza: non una grande scoperta visto come siamo governati da anni. Fa sempre tristezza vederlo confermato.

Anche la classe dirigente tecnica coinvolta, pur nel mezzo di una tragedia di complessità immane, non emerge come particolarmente rassicurante, ossia animata da quello spirito di servizio di “civil servant” che pone la sua competenza professionale e il suo spirito civico al servizio della collettività, con la necessaria autorevolezza e indipendenza di giudizio mei confronti di chi governa e anche nell’interpretare le norme, specie in un momento di assoluta eccezionalità.

Leggere che erano impegnati soprattutto a non disobbedire alle indicazioni di chi governava, spesso era travolto da emotività se non da calcoli anche politici, non è per nulla rassicurante: un passaggio riportato in un articolo degli scorsi giorni evidenziava come i cittadini dovessero essere gestiti – nella comunicazione – come fossero “…sotto una dittatura”, anche se il nostro è un paese democratico. Sconsolante.

Da anni, nelle strutture sanitarie, è vietato ai dirigenti sanitari esprimere il proprio dissenso rispetto alle scelte politiche o delle dirigenze apicali anche negli ambiti di loro competenza: strano concetto di democrazia e ancor più strano concetto su come si debbano gestire strutture deputate a fornire servizi di cura che si fondano sulla attiva compartecipazione soprattutto dei professionisti che vi operano… Anche nella scuola non va tanto meglio: interviene addirittura un ministro per censurare una lettera aperta di una “sua sottoposta” (!?), magari in alcuni passaggi anche discutibile, ma pur sempre una lecita manifestazione di un giudizio storico e sociale

Non che non ci voglia un giusto controllo per evitare prevaricazioni, ma la democrazia impone il coinvolgimento di chi ha il compito di vigilare nelle sedi più prossime a dove si svolge il fatto, e deve garantire a chi dirige di potersi muovere e a chi è sottoposto a controllo di potersi sentire protetto dagli abusi di potere.

Questioni delicatissime che riguardano tutto il nostro vivere civile: abbiamo scelto di voler far gestire questi complessi aspetti di bilanciamento solo alle leggi e alle norme, consegnando solo alle logiche del diritto formale la potestà di intervenire, svilendo etica, senso comune e capacità di regolazione dialettica tra le persone: il presidenzialismo, ossia l’idea che serve un “uomo forte” che decide per tutti, si insinua nelle coscienze anche così.

Tornando alla nostra “zona rossa” dei comuni della Val Seriana, anche la classe dirigente industriale non ne esce benissimo: una azienda deve fare profitto, è indubitabile. Ma, Il profitto non può mai andare a scapito della persona: è un limite invalicabile. Non è per niente rassicurante (e nemmeno motivante!) sapere di lavorare per una azienda che difende se stessa prima di tutto e di tutti…

E così, mentre siamo quotidianamente assillati e anche infastiditi da centinaia di diritti individuali da far valere e scolpiti in bizantinismi normativi che ci complicano la vita quotidiana e peggiorano la nostra qualità della vita, forte emerge la pressione di chi aveva responsabilità aziendali affinché le decisioni non mettessero troppo a rischio le aziende: è vero che nessuno sapeva bene se la chiusura di intere zone sarebbe stata veramente utile, ma tra la vita delle persone e il futuro delle aziende cosa si dovrebbe scegliere? Il principio di precauzione non deve valere forse anche nel mondo economico?

Dagli articoli su questa vicenda, appena agli inizi, emerge uno spaccato di Italia non particolarmente incoraggiante, in certi passaggi anche proprio deprimente, sul piano etico e sociale prima ancora che politico. Mi auguro che comunque non ci siano condanne giudiziarie in questa vicenda: è la coscienza civile che semmai deve imparare a giudicare.

E’ bene però che tutti – semplici cittadini per primi –  ci facciamo un serio esame di coscienza su come abbiamo ridotto il nostro vivere civile: non facciamolo tanto per noi, ma almeno per quei quasi 400.000 bambini che qualcuno si ostina ancora a far nascere ogni anno, nonostante tutto. Almeno uno scatto di orgoglio e di consapevolezza!

Facciamolo per i bambini, tutti, italiani e immigrati: meritano di più da questo nostro meraviglioso paese, una volta culla della civiltà occidentale.

Massimo Molteni