Il fallimento in Afghanistan proprio quando muore Gino Strada – di Giancarlo Infante

Il fallimento in Afghanistan proprio quando muore Gino Strada – di Giancarlo Infante

Secondo alcuni analisti, il prossimo 11 settembre Kabul sarà caduta in mano ai talebani che stanno velocemente riprendendosi l’intero Afghanistan.

Copiose lacrime di coccodrillo inondano i giornali e i servizi televisivi occidentali per un evento più che largamente prevedibile. Del tutto ben noto alle cancellerie dei paesi maggiormente coinvolti in un paese che non è mai stato conquistato dai pur numerosi ed agguerriti eserciti che, negli ultimi due secoli, hanno provato a controllare un’area cerniera fondamentale dove s’incrociano l’influenza cinese, quella russa, quelle del mondo del Golfo arabico e del sub continente indiano.

Britannici, sovietici ed americani ne hanno ricevuto, tutti, amari insegnamenti. Senza che alcuno di loro traesse  lezione dalle altrui precedenti esperienze. L’ultima è stata quella vissuta alla luce dell’idea dell’esportazione della democrazia. Una dottrina che riprese lena sotto l’amministrazione di Bush “il giovane”, a seguito dell’attacco alle torri gemelle di New York dell’11 settembre del 2001. Venne ritenuto necessario combattere Bin Laden e quell’al Qaeda ritenuta la testa del movimento terroristico sunnita il quale, rivoltatosi persino contro l’Arabia Saudita, pensava, anche con una certa sanguinosa ingenuità, di fare dell’Afghanistan il paese da cui potessero partire tutte le trame della guerra totale all’Occidente e ai suoi valori.

Oggi, è inevitabile chiedersi se altrettanta ingenuità, da appurare poi quanto questa fosse sincera e non una posa strumentale, non venne commessa nel far coincidere il necessario contrasto al terrorismo di Bin Laden, e dei suoi numerosi accoliti, con il vagheggiare l’esportazione dei nostri concetti di libertà, di democrazia e di distinzione del piano religioso rispetto a quello politico. Si tratta di principi e di valori, ma soprattutto della loro sedimentazione e concretizzazione culturale, istituzionale e politica,  che in Occidente hanno comunque avuto bisogno di oltre mille anni per configurarsi ed imporsi nei modi con cui oggi li viviamo. Quel paese, come tanti altri, del resto, ha differenti costumi, una forte tensione religiosa, un’organizzazione privata e pubblica che ruota attorno ai principi e alle regole tribali piuttosto che fare esse discendere da un’idea di Stato com’è quella peculiarmente nostra.

Quanto ci fosse molto di sbagliato da parte occidentale  lo sta dimostrando il veloce epilogo della vicenda che, con qualche volo pindarico, ma che come tutti i voli pindarici rischia però di cogliere il sentimento diffuso nella opinione pubblica, non sempre informata nei dettagli sulle vicende cui assiste, fa paragonare gli accadimenti di queste ore alla fine di Saigon e all’inglorioso epilogo del controllo americano del Vietnam.

Siamo costretti anche a riflettere sull’ossimoro rappresentato dalla espressione “guerra umanitaria”, giacché di umanitario non c’è mai molto in un conflitto armato. Ma al di là delle disquisizioni del lessico utilizzato dagli stati e dai politici per giustificare i propri interventi in casa altrui, la riflessione va al riconoscimento del fallimento dell’idea, coltivata pure dall’Italia, di partecipare alla definizione di una strategia di transizione che aveva l’obiettivo di “restituire l’Afghanistan agli afgani”. Lo leggemmo negli atti parlamentari di più di dieci anni fa ( CLICCA QUI ),  allorquando decidemmo di partecipare all’aumento dei contingenti militari sposando la logica di ” un maggior impegno nel settore civile e miglior coordinamento tra questo e la dimensione militare”.

Dopo aver fatto tante conferenze e incontri internazionali su come intervenire in un paese tanto lontano, sia geograficamente, sia antropologicamente, forse se ne potrebbe proporre una destinata a condividere una fredda riflessione su dove sta fallendo un’intera cultura politica internazionale dell’occidente che ha dominato le nostre menti e i nostri cuori negli ultimi vent’anni.

Mentre i talebani si avvicinavano così tanto a Kabul è morto Gino Strada. Lui e la sua Emergency hanno lavorato a lungo nella capitale e in altre parti dell’Afghanistan indicando una delle tante facce positive dell’Occidente. Ricordo che Gino Strada non credeva nell’esportazione della democrazia nel momento in cui la si proclamava e, anche per questo, venne additato come uomo della discordia. La morte gli toglierà, in ogni caso, almeno la pena di riveder precipitato l’Afghanistan vent’anni indietro.

Giancarlo Infante