Il Jobs Act tra previsioni di nuove assunzioni e spaccature a sinistra

Il Jobs Act  tra previsioni di nuove assunzioni e spaccature a sinistra

Sembra che il Jobs Act, almeno stando ad alcune stime circolate nei giorni scorsi, piaccia alle imprese. Secondo una relazione pubblicata dal Centro studi di Unimpresa, infatti, entro la fine del 2015 “potrebbero essere, complessivamente,  circa 250.000 le nuove assunzioni realizzate grazie alla riforma del mercato del lavoro”.

A dividersi di fronte alla riforma del mercato lavoro, entrata in vigore da poco più di due settimane, sono invece il Partito Democratico, con la solita spaccatura tra la maggioranza renziana e la minoranza composta dalle diverse correnti che in modo più o meno deciso si oppongono al premier, e soprattutto il sindacato, con lo scontro sempre più acceso tra la segretaria della Cgil Susanna Camusso ed il leader della Fiom Maurizio Landini, il quale a pochi giorni dalla manifestazione del 28 marzo ha dato vita alla sua “coalizione sociale”.

Ritenuto fondamentale dal Matteo Renzi sin dal suo insediamento a Palazzo Chigi e approvato dal Parlamento non senza tensioni nella maggioranza di governo, il Jobs Act è il risultato di due leggi, la prima risalente a maggio del 2014, l’altra a dicembre. “Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese” è il nome del Decreto Legge n. 34 presentato dal Governo il 20 marzo dello scorso anno: sei articoli suddivisi in due capi, “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine e di apprendistato” e “Semplificazione delle disposizioni in materia di contratto di apprendistato”.

Il decreto è stato approvato definitivamente con la Legge n. 78 del 16 maggio, introducendo alcune novità per quanto concerne l’apprendistato, i contratti di solidarietà e il lavoro a termine.

Per quanto riguarda il contratto di apprendistato, il Jobs Act riduce dal 30 al 20% la percentuale di apprendisti che un’azienda deve stabilizzare prima di poter assumere nuovamente altri giovani utilizzando questa forma contrattuale. Tale obbligo, precedentemente previsto per le aziende con più di dieci dipendenti, è ora circoscritto alle imprese che hanno più di 50 lavoratori. Inoltre, la legge stabilisce che il 35% del monte ore complessivo dei dipendenti assunti con contratto di apprendistato debba essere dedicato alla formazione.

In merito ai contratti di solidarietà, il limite di spesa per questo tipo di agevolazione nell’ambito del Fondo sociale per l’occupazione e la formazione viene innalzato a 15 milioni di euro, a partire dal 2014. Un’altra novità riguarda la riduzione della contribuzione previdenziale del 35% per quelle aziende che stipulano contratti di solidarietà che prevedano una diminuzione superiore al 20% dell’orario di lavoro.

Tra i punti principali della prima parte del Jobs Act vi sono i contratti a tempo determinato: la durata del rapporto di lavoro a termine (anche nei casi di contratto di somministrazione) che non necessita dell’indicazione della causale per cui è stipulato viene innalzato da uno a tre anni, per un massimo di 5 proroghe. Viene inoltre introdotto un limite massimo all’utilizzo del contratto a tempo determinato: il datore di lavoro non potrà ricorrere a questo tipo di contratto per una percentuale di dipendenti superiore al 20% dei lavoratori a tempo indeterminato in forza alla sua azienda, pena una sanzione amministrativa. Questo limite non si applica alle imprese con non più di 5 dipendenti e nel settore della ricerca, in quest’ultimo caso limitatamente ai contratti che abbiano ad oggetto esclusivamente lo svolgimento di attività di ricerca scientifica e durino al pari del progetto di ricerca a cui si riferiscono.

La seconda parte della riforma del lavoro consiste invece nella Legge n. 183 del 10 dicembre 2014, contenente le deleghe al Governo su cinque materie: ammortizzatori sociali; servizi per il lavoro e politiche attive; semplificazione delle procedure e degli adempimenti; riordino delle forme contrattuali e dell’attività ispettiva; tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro.

I primi due decreti attuativi sul Jobs Act sono stati approvati dal Consiglio dei ministri alla viglia di Natale, quando Renzi ha parlato di “una rivoluzione copernicana”, e riguardano la nuova Aspi (Assicurazione sociale per l’impego) e il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Il nuovo assegno di disoccupazione sarà valido dal 1° maggio 2015 per tutti i lavoratori dipendenti che perdoao il posto e che negli ultimi quattro anni abbiano cumulato almeno 13 settimane di contrbuzione e negli ultimi 12 mesi almeno 18 giornate effettive di lavoro. L’assegno sarà erogato al disoccupato per un numero di settimane equivalente alla metà delle settimane contributive degli ultimi quattro anni di lavoro. Per l’indennità è previsto un tetto massimo di 1300 euro ed un calo del 3% al mese a partire dal quarto mese. Chi percepirà il Naspi perderà l’indennità qualora rifiuti le iniziative di riqualificazione professionale che gli saranno proposte.

Ma l’aspetto più delicato della riforma del lavoro riguarda le nuove regole per i licenziamenti, valide comunque solo per gli assunti con i nuovi contratti. L’articolo 18 non scompare del tutto, ma viene superato soprattutto nei casi di licenziamento economico illegittimo: si esclude la possibilità del reintegro, che viene sostituita da un indennizzo economico proporzionale all’anzianità di servizio del lavoratore. Resta invece il reintegro per i licenziamenti senza giusta causa discriminatori e per quelli disciplinari in cui venga dimostrata l’insussistenza del fatto contestato al dipendente. Nei casi in cui il giudice condanni il datore di lavoro al pagamento di un’indennità essa sarà pari a due mensilità per ogni anno di servizio e non potrà comunque essere inferiore a 4 e superiore a 24 mesi. Diversa la situazione per le imprese con un numero di dipendenti non superiori a 15, per le quali l’indennizzo è dimezzato e non può superare il limite massimo di sei mensilità. Il decreto attuativo prevede poi che le norme sui licenziamenti individuali valgano anche per quelli collettivi.

Ci sono tuttavia ancora alcuni nodi da sciogliere. Uno riguarda i due decreti attuativi su maternità e trasformazione dei contratti precari in contratti a tempo indeterminato che sono ancora sul tavolo del Governo, nonostante i provvedimenti siano stati approvati più di un mese fa. A frenare i decreti sarebbero i dubbi sulle coperture da parte della Ragioneria di Stato.

Altro tema controverso è quello dell’applicazione delle nuove norme per i licenziamenti ai dipendenti della Pubblica Amministrazione. Se da un lato c’è chi, come il ministro della Funzione Pubblica Marianna Madia, sostiene che il Jobs Act non riguarda gli statali; dall’altro, c’è chi, come il senatore Pietro Ichino, fa notare come nella legge delega non vi sia nessun riferimento all’esclusione del pubblico impiego.

Tra le misure allo studio dell’esecutivo ci sarebbe anche l’inserimento dei sindacati nell’elenco delle strutture che potrebbero occuparsi di prendere in carico i disoccupati al fine di trovare per loro un nuovo impiego. L’ipotesi su cui starebbe ragionando il Governo prevederebbe, inoltre, che le strutture vengano remunerate per cisascun lavoratore ricollocato.

Andrea Pranovi