I giardini fioriti di Auschwitz – di Giuseppe Careri

I giardini fioriti di Auschwitz – di Giuseppe Careri

Immaginate uno schermo cinematografico grigio scuro senza nessuna immagine. Nel buio della sala si sente, lieve, solo un rumore cupo che invade una platea attenta e silenziosa. Al rumore di fondo, forse quello di un altoforno, si sovrappongono poi gli spari, due, tre volte… forse di una rivoltella, il gridolino dei bambini che giocano nel loro giardino, con l’aggiunta sonora di cinguetti di uccelli, effetti presi in diretta dalla natura. Infine, di nuovo bambini che festeggiano un allegro compleanno all’aperto a cui si aggiungono di nuovo gli spari e il rumore di fondo. Poi una sirena lacerante, una nota musicale tremenda che fa temere l’inizio di una catastrofe. E catastrofe vuole essere. Uno sciame di suoni, di perturbazioni provenienti da oltre il muro di cinta e del filo spinato di Auschwitz, quello che separa il giardino di casa del comandante Rudolf  Hoss e della sua numerosa famiglia.

Dopo il prolungato rumore continuo, ossessivo, che richiama i forni crematori, la prima immagine, in contrasto con i suoni demoniaci, è quella del comandante Rudolf Hoss in divisa militare, mentre sosta in un giardino fiorito insieme ai suoi 5 figli che giocano vicino al fiume. E’ la famiglia al completo del comandante del campo di concentramento di Auschwitz: si notano in lontananza i bambini sul prato verde, un cane, degli uccelli, la coppia di sposi.

E’ l’inizio idilliaco del film dal titolo “La zona d’interesse” del regista Jonathan Glazer vincitore del premio Oscar al Dolby Theatre di Los Angeles come miglior film straniero insieme a quello per la migliore colonna sonora realizzata al sound design dall’ingegnere Johnnie Burn. Non solo note musicali, ma effetti reali presi dal vivo come il canto degli uccelli, l’abbaiare di un cane, un fulmine, un rumore sordo. Secondo le cronache l’ideazione e la realizzazione del film è durata quasi un decennio. Solo 24 mesi sono stati necessari per il montaggio e la post produzione. Particolare cura è stata dedicata al missaggio della colonna sonora, oltre naturalmente alle scene cinematografiche e alla recitazione degli attori. Il film prende spunto dal libro autobiografico “Il Comandante di Auschwitz”, scritto dal nazista Rudolf Hoss, nel periodo di detenzione per una condanna a morte mediante impiccagione avvenuta nel 1947 in un carcere polacco.

Il Comandante Rudolf Hoss per tre anni e mezzo diresse continuativamente il campo di concentramento di Auschwitz dall’estate 1940 al gennaio del 1944. Quando fu nominato responsabile del Campo di Auschwitz, Rudolf Hoss aveva compiuto da poco 40 anni.

Tutti sappiamo dell’orrore dei campi di concentramento, dell’annientamento di milioni di persone, di ebrei polacchi, ungheresi, moldavi, italiani, francesi avvenuti durante la guerra attraverso “la soluzione finale” voluta da Hitler ed eseguita dai suoi generali. Ma per la prima volta le atrocità commesse nei campi di concentramento vengono evidenziate direttamente dai protagonisti che decisero l’annientamento di povere creature umane, donne, uomini, bambini, attraverso le camere a gas e i forni crematori. Nel suo libro autobiografico il capo supremo delle SS Rudolf Hoss racconta nei particolari quanto accadde di orrendo all’interno del campo di concentramento di Auschwitz mentre la sua famiglia con i cinque figli abitavano in una villa con piscina, giardino e servitù ebrea al di là del muro di cinta del campo. Ciò che colpisce dal suo racconto autobiografico, è la naturalezza e l’orgoglio di eseguire gli ordini dei suoi superiori, di Himmler ed Eichmann in particolare, perché ritenevano essere lui l’unico capace di organizzare il campo di concentramento e attuare sistematicamente l’eliminazione fisica e psichica di milioni di persone.

Rudolf Hoss scrive nella sua autobiografia: “Per volontà di Himmler, Auschwitz divenne il più grande centro di sterminio di tutti i tempi. Allorché nell’estate del 1941 mi comunicò personalmente l’ordine di allestire ad Auschwitz un luogo che servisse allo sterminio di massa, e di realizzare io stesso tale operazione, non fui in grado di immaginare minimamente la portata e gli effetti; era un ordine straordinario e mostruoso, ma le ragioni che mi fornì mi fecero apparire “giusto” questo processo di annientamento”.

Non si può immaginare l’orrore e il dolore dei prigionieri costretti a entrare nelle camere a gas e nei forni crematori per essere eliminati in un ciclo continuo. Così come non si può credere che il nazista Rudolf Hoss e la sua bella famiglia, che abitavano al di là del muro di Auschwitz, di ignorare, o almeno, non “percepire” il rumore continuo dei forni crematori e l’assassinio di milioni di ebrei. Era impossibile che non sentissero il sottofondo cupo, assordante, delle ciminiere, l’odore acre dei corpi carbonizzati, i treni che giungevano in continuazione con il loro carico umano.

Il comandante e i suoi familiari in realtà fingevano di “ignorare” quanto accadeva al campo, distante solo poche centinaia di metri dalla loro villa. Infatti Rudolf Hoss scrive nella sua autobiografia: “In verità la mia famiglia viveva bene ad Auschwitz… Ogni desiderio di mia moglie o dei bambini era esaudito. I bambini vivevano liberi e all’aperto, e mia moglie aveva il lusso di un giardino fiorito che era un vero paradiso”.

Nella prefazione dell’autobiografia di Rudolf Hoss, Primo Levi, uno dei superstiti dell’olocausto, traccia un profilo del responsabile del Campo di concentramento e della sua incapacità di rifiutare un ordine partito dall’alto. Scrive infatti Rudolf Hoss: “Ordine ci vuole, in tutto; le direttive devono venire dall’alto, sono buone per definizione, vanno eseguite senza discuterle ma coscienziosamente; l’iniziativa è ammessa solo al fine di una più efficiente esecuzione degli ordini. Ma Primo Levi sottolinea: Il compito di Rudolf Hoss è fare l’aguzzino con tutta la diligenza possibile”.                  

Rudolf Hoss decide così di modificare la modalità di sopprimere i prigionieri attraverso la fucilazione di massa. E’ necessario, secondo la sua visione nazista, trovare un sistema più veloce e meno cruento perché il sangue dei prigionieri demoralizza le SS. Infatti dopo le molteplici esecuzioni, molti soldati  perdono il senno o si suicidano. Rudolf Hoss e il suo vice hanno “l’dea geniale” di usare il Cyclon B, il veleno che si usa per i topi e tutto va per il meglio. Scrive: “L’asfissia collettiva con gas di scarico dei motori, è un buon inizio, ma va perfezionata”. Primo Levi a sua volta sottolinea: “Rudolf Hoss dopo il collaudo eseguito su 900 prigionieri russi prova “un grande conforto”. E’ la soluzione finale!

Nel processo dei giudici polacchi Rudolf Hoss viene condannato all’impiccagione. Nel periodo della prigionia scrive il suo memoriale dove descrive l’orrore delle camere a gas e dei forni crematori, cercando in alcuni capitoli di apparire un uomo che fa il suo dovere e che alla presenza dei bambini uccisi soffre per lo spettacolo orrendo che gli si presenta davanti agli occhi. Ma non è sufficiente per salvarsi dalla condanna a morte. Secondo la prefazione scritta da Primo Levi “Il libro mostra come il bene possa cedere al male, esserne assediato e infine sommerso, e sopravvivere in piccole isole grottesche, un’ordinata vita famigliare, l’amore per la natura”.

Un libro autobiografico, un film magistrale: Per non dimenticare.

Giuseppe Careri