Cosa c’importa del Marocco? – di Giuseppe Sacco

Cosa c’importa del Marocco? – di Giuseppe Sacco

Lo spaventoso terremoto che si è verificato, poco prima della mezzanotte di venerdi 8 settembre nel punto in cui la placca continentale africana si scontra con quella europea, è stato – con una magnitudo pari quasi a quota 7 – il più potente e distruttivo negli ultimi 120 anni, cioè da quando viene effettuata, in Marocco, una rilevazione sistematica dei fenomeni sismici. Meno grave – indubbiamente – di quello che ha devastato la Turchia poche settimane fa, ma altrettanto violento quanto quello dell’Irpinia, quarantatré anni fa, nel 1980, le cui ferite non sono ancora rimarginate. E soprattutto meno tragico di quello del 29 febbraio del 1960, sempre in Marocco, ad Agadir, dove i morti erano stati quasi 15.000, cioè un terzo della popolazione cittadina.

Gli effetti più visibili, e più ampiamente riportati dalle catene televisive europee, si situano settanta chilometri a sud-ovest di Marrakech,  dove moltissimi esponenti dell’élite europea del danaro del potere ostentano le proprie lussuose ville. E per questo hanno sollevato qualche eco e qualche brivido di paura sulla sponda  settentrionale del Mediterraneo. Anche se non i sentimenti di solidarietà che avrebbero meritato gli oltre duemila morti già accertati, né la preoccupazione per le conseguenze di cui si incomincia a sapere qualcosa man mano che vengono riaperte le strade che danno accesso ai villaggi dell’Atlante, la catena montuosa che costituisce la spina dorsale del paese. E che separa le regioni costiere, dove il clima è influenzato dalla vicinanza del Mediterraneo e – soprattutto – dell’Oceano Atlantico da quelle desertiche dell’Africa subsahariana.

La Croce Rossa internazionale non ha mancato di rendere nota la gravità della situazione. Gravità che vale  non solo per le “ore critiche” e per i  giorni immediatamente successivi alla tragedia, quando era ancora possibile intervenire con la speranza di estrarre qualcuno vivo dalle macerie, ma che – dato l’alto numero dei feriti anche gravi, numero sino ad oggi di poco inferiore a quello dei morti – sarà evidente per i prossimi mesi, quando il sistema sanitario marocchino si troverà di fronte ad una sfida che, anche senza tener conto delle distruzioni dovute al terremoto, e delle scosse che ancora faranno seguito, difficilmente esso sarà in grado di affrontare senza un forte sostegno internazionale.

Vari paesi, tra cui anche l’Italia, hanno offerto il loro aiuto, anche se nelle prime ore dopo il sisma, il Marocco ha dovuto annunciare di essere in grado di accettare nell’immediato solo quello di quattro tra di loro: la Spagna, il regno Unito, il Qatar e gli Emirati arabi uniti. E ciò è bastato perché apparisse un certo disinteresse da parte dell’Italia, il cui Ministro degli Esteri ha concentrato le sue preoccupazioni solo i turisti italiani (che sarebbero circa 500) presenti nella zona interessata dalla catastrofe.

I giornali e le reti televisive italiane hanno più volte riportato con tono elogiativo questa premura. Ed hanno reso così evidente che i media italiani, e in generale della sponda nord del Mediterraneo, continuano a vedere quello che accade nel Nord Africa come eventi lontani e senza molte ripercussioni sul nostro destino. Dando così un significativo segnale di come non sia ancora scomparsa le mentalità che porta a  ritenere che il “valore della vita” sarebbe diverso a seconda del paese in cui si  verificano le catastrofi naturali, o a seconda del colore della pelle delle popolazioni coinvolte.

Eppure basta riflettere sui  cambiamenti verificatesi negli ultimi anni per vedere come questa mentalità razzista non sia più accettabile non solo sul piano etico, ma anche su quello dell’interdipendenza reciproca. Non solo, infatti, i popoli dell’Africa del Nord hanno scosso il giogo coloniale, ma hanno anche assunto un ruolo economico-politico che consente ormai di sottolineare come il Mediterraneo anziché dividere il destino dei popoli diversi che abitano sulle due sponde metta invece in luce una analogia di minacce e di possibilità che rende indispensabile uno sguardo comune.

Fino a pochi anni fa dai paesi della Nord Africa venivano verso l’Europa solo due flussi, quello di prodotti energetici e quello dei migranti. Flussi che non potevano essere controbilanciati, da un punto di vista economico, da quello costituito, in senso inverso, dai turisti. Ed è purtroppo a questo schema ormai è un po’ vecchiotto che il nostro paese sembra ancora essere legato, come dimostrato da un lato dalle preoccupazioni per i continui sbarchi a Lampedusa,  dall’altro dalle dichiarazione fatte in Tunisia della premier Meloni sulla possibilità di trasformare l’Italia in un hub del gas naturale proveniente dall’Africa e diretto verso l’Europa.  Una visione che sembra dare per scontato che non molti verranno realizzati tra i progetti internazionali che, nella logica di de-carbonizzazione nella produzione di energia, prevedono un uso essere sempre più ridotto dei combustibili fossili.

Dimostrando invece una visione completamente opposta a questo schema, il  Marocco dispone oggi di energia elettrica prodotta con metodi rinnovabili, e che già viene esportata verso l’Inghilterra,  attraverso il Portogallo la Spagna.  Ciò rientra nella logica  geopolitica del governo di Rabat fortemente consapevole dell’aspetto “atlantico” del paese. Una scelta atlantica che non consiste – come invece accade per altri paesi – nell’applaudire a tutte le bellicose dichiarazioni del segretario della Nato, il danese Stoltenberg, che sembra a volte  voler “rubare il mestiere”  ai governi nelle potenze che formano l’Alleanza.  La scelta atlantica del Marocco consiste invece in scelte concrete, come quella di orientarsi al mercato britannico, e ancor più in decisioni come quella di aver firmato con Israele la cosiddetta “pace di Abramo”, E in cambio aver ottenuto dagli Stati Uniti il riconoscimento dell’ex Sahara spagnolo come parte integrante del regno marocchino.

Ma il Marocco è anche un paese mediterraneo. Ed in questa prospettiva Rabat già oggi svolge un importante ruolo nel contenere e selezionare l’immigrazione dall’Africa sub sahariana verso l’Europa. La permanente mobilitazione marocchina ai confini con il suo vicino di sud-est, l’Algeria,  che ha ereditato dalla colonizzazione francese non poche ambizioni su territori tradizionalmente appartenenti al Marocco, scoraggia già oggi i flussi migratori provenienti dall’Africa sub sahariana, dove più forti sono l’accrescimento demografico e la pressione migratoria.

E l’Italia, che inevitabilmente, anche se silenziosamente, è la principale beneficiaria del ruolo svolto dal Marocco, potrebbe forse ricordarsene nel momento in cui le autorità di Rabat  sono chiamate ad uno sforzo eccezionale, non solo nell’azione di emergenza, ma anche nel campo ospedaliero e sanitario. Un atteggiamento meno indifferente; un po’ più di attenzione e qualche aiuto concreto potrebbero anche essere visti come nel nostro interesse.

Giuseppe Sacco