Dal disonore alla dignità

Dal disonore alla dignità

Non si può proprio ignorare l’anniversario di quell’8 settembre di 80 anni fa che segnò il massimo del disonore e l’inizio del riscatto. La divisione, o meglio, la ancora più forte divisione che si creò nel Paese dette vita a due Italie e a due coincidenti concetti dell’onore nazionale, i quali partivano da una base opposta e giungevano ad un altrettanto opposta idea sulla dignità nazionale.

Che tra quanti finirono dalla parte sbagliata ci fosse tanta gente in buona fede è indiscutibile, ma è pure vero che la buona fede non significa essere nel giusto.

Giorno terribile in un periodo altrettanto terribile. L’Italia dopo decenni di vuota retorica, furbizie diplomatiche, menzogne sulle capacità militari e mancanza di un’analisi realistica sui propri mezzi e sul proprio ruolo, perse di colpo tutta l’idea propalata dal regime fascista sugli ” otto milioni di baionette”, sull’organizzazione e l’efficienza di uno stato totalitario e si trovò, di colpo, completamente scompaginata. I gruppi dirigenti non erano in altra condizione che di darsi alla fuga.

Ignominiosa per taluni. A conferma  di quella che era stata la monarchia degli ultimi Savoia che, non a caso, uno dei più grandi studiosi della storia italiana, il britannico Denis Mack Smith, definiva la peggiore di tutta l’Europa. Come aveva lasciato fare Benito Mussolini ventuno anni prima, che pure lo aveva messo a capo di un impero, così Vittorio Emanuele III lo aveva affidato ai carabinieri dopo la sfiducia ricevuta dal Duce dal suo stesso Gran Consiglio.

Vicende in cui emerse in tutta la sua chiara evidenza non solo il vero valore del Partito fascista e dello Stato fascistizzato, ma anche la voglia di libertà degli italiani che, non a caso, cominciarono in quelle stesse ore tumultuose, con i tedeschi in procinto di occupare Roma e una larga parte del Centro nord, ad organizzarsi per il riscatto. I partiti sciolti da Mussolini ripresero a riannodare le loro fila. Soprattutto taluni valorosi militari, come i fratelli Di Dio che sarebbero stati i primi fondatori delle brigate di resistenza cattolica, capirono quanto fosse necessario prendere la via delle montagne.

Ne sarebbero morti tanti di quei partigiani. Molti erano consapevoli sin da subito quale sarebbe stato il loro destino. Forse avevano nel cuore e nella memoria il “ribelli per amore” di Teresio Olivelli. Soprattutto, avevano l’idea che, a differenza di chi aveva fatto altre scelte, e di lì a poco avrebbe partecipato con le SS ai rastrellamenti di ebrei e di partigiani, il disonore si riscatta con l’amore per la libertà e un’idea di dignità e decoro nazionale del tutto opposta a quella della cultura, mentalità e metodo fascista.