Può esserci democrazia senza i partiti ?- di Domenico Galbiati

Può esserci democrazia senza i partiti ?- di Domenico Galbiati

A suo tempo, Gianfranco Miglio ebbe a dire che la Lega rappresentava la risposta “sanguigna e primordiale” al potere dei partiti.  Senonché l’evoluzione cui la Lega è andata incontro – premuta, al di là dell’ opzione originaria, dalla logica intrinseca degli eventi – l’ha condotta ad essere oggi, su scala nazionale, ben oltre il “ridotto” della Padania, il partito più partito nel senso classico e tradizionale del termine tra tutte le formazioni politiche che calcano la scena. 

Un partito vero – va riconosciuto – cioè, anzitutto, radicato sul territorio ed attento a farsi carico dell’onere del governo locale. Un percorso analogo stanno percorrendo i pentastellati di Grillo che si affidano a Conte come ad una sorta di “normalizzatore” incaricato di omologarli al sistema politico corrente e renderli presentabili in società.

Se ne possono dedurre almeno due considerazioni. Anzitutto, i due “movimenti” che hanno incarnato, negli ultimi decenni, il disagio sociale e politico di molti ceti, il sentimento di protesta che fermentava nel Paese, hanno convogliato questo profondo turbamento nell’ alveo parlamentare. Anche chi nulla condivide delle loro opzioni politiche, deve loro riconoscere il merito di non aver ceduto alla logica “ribellista” delle piazze incendiate in altri Paesi, ad esempio dai “gilets jaunes” in Francia.

Perché le cose, da noi, sono andate cosi, diversamente da quanto è successo ai cugini d’ Oltralpe? E’ lecito pensare che vi abbia concorso anche la forte connotazione “parlamentare” della vituperata Prima Repubblica, che, più di quanto comunemente pensiamo, ha esercitato una funzione pedagogica, ha creato un abito mentale tale per cui gli italiani al Parlamento ci tengono, anche quando dicono peste e corna dei partiti che, nelle aule parlamentari, trovano la palestra irrecusabile delle loro pur non sempre commendevoli prestazioni?

Perchè la Lega, anche nella sua fase dissacrante, la Lega della secessione e del rito pagano delle ampolle e delle sacre acque attinte alle sorgenti del Po, pur di restare entro una logica parlamentare, ad un certo punto, si è inventata, per quanto farlocco, il Parlamento niente meno che della Padania? Addirittura, in quella fase, articolando  al suo interno, in maniera più o meno fittizia, posizioni differenziate che, in qualche modo, per rendere più credibile l’opzione parlamentare, riproducessero in vitro l’articolazione politica dell’emiciclo parlamentare “romano”. Il che è tutto dire.

La seconda considerazione concerne il fatto che, comunque la si metta, anche chi nasce invocando il superamento della democrazia rappresentativa – che dei partiti come momento di intermediazione non può fare a meno – di fatto si riconduce oppure è, più o meno forzosamente, ricondotto, se intende dare fiato alla partecipazione democratica dei cittadini alla cosa pubblica, alla “forma partito” sia pure variamente declinata.

Siamo sicuri che una trasformazione “gollista”  – quindi, neppure carismatico-leaderistica, ma, si potrebbe dire, addirittura  “cesarista” – del nostro sistema politico-istituzionale risponda alla storia, alla cultura, al sentimento profondo di un Paese come il nostro? Sosteneva Mino Martinazzoli – di cui sarebbe bene ricordare, oltre gli anniversari, anche gli ammonimenti – che non vi sono liberatori, ma solo uomini che si liberano.

Si tratta di un principio che vale tuttora e non va scordato neppure nella situazione politica che il nostro  Paese attraversa in questa particolare fase della sua vicenda democratica. Neppure quando il ruolo del “liberatore” potrebbe essere ritagliato – del resto, suo malgrado – sulla figura di un leader sicuramente eccellente sia sul piano della competenza che, soprattutto, in quanto a piena affidabilità democratica e costituzionale.

Per quanto sia impossibile negare l’involuzione dei partiti e della loro funzione, davvero si puo’ pensare che il compimento delle presunte virtuosità attese e mancate dal processo di riforma costituzionale possano oggi essere attinte tramite la loro sostanziale giubilazione ? Si può guardare con soddisfazione alla “loro tendenziale irrilevanza”, come recita Galli della Loggia ? Anzi, apprezzare che la formula secondo cui “In Italia il governo si forma in Parlamento” sarebbe ormai “….virtualmente svuotata di ogni valore….” ?

Siamo di fronte ad una amara constatazione, ad un motivato timore, ad un allarme o piuttosto ad un auspicio? Come si creerebbe quella vantata “volontà del Paese”, attraverso quali percorsi più o meno carsici, assecondando quali suggestioni ? Chi ne suggerirebbe  e ne orienterebbe gli sviluppi, chi dovrebbe codificarne le forme ? Non è forse vero come non sia la governabilità – “il rafforzamento/stabilizzazione dell’esecutivo” – a giustificare la rappresentanza, bensì come ne sia, piuttosto, una funzione ed una derivata? Come sia, cioè, la rappresentanza a fondare e legittimare la governabilità e non viceversa?

Anziché discettare tre volte al giorno, prima e dopo i pasti, di riforma della Costituzione non sarebbe meglio preoccuparci del fatto che questa sia posta nelle condizioni di esprimere a pieno le potenzialità del suo dettato ?  Ricordando – senza scomodare i “sovranisti” che fanno tutt’altro mestiere – che “ la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, in cui rientra anche l’art. 49 ?

Per quanto ci riguarda – e non è sterile passatismo – i partiti, anche quelli che non ci piacciono,  sono innanzitutto, come ci ricordava Carlo Donat Cattin, la voce di chi non ha voce. E’ necessario creare, dunque,  le condizioni – purché lo vogliano e, ad ogni modo, per chi lo vorrà – perché possano rigenerare il loro ruolo, dopo una lunga e progressiva stagione di decadenza, che  ha raggiunto l’acme – qui non si può non concordare con Galli della Loggia – al momento dell’ultima crisi di governo.

Anche i partiti, non solo i cittadini, hanno bisogno di una legge elettorale proporzionale che li faccia uscire dall’incantesimo di quelle matriosche che sono diventati gli schieramenti del bipolarismo maggioritario, per  ristabilire un rapporto finalmente schietto e limpido con i rispettivi elettorati e le culture che sottendono la loro visione politica.

Né basterebbe, al fine di una profonda ed effettiva, questa sì, “trasformazione” del nostro sistema politico-istituzionale – qui sta il punto critico e qualificante della nostra proposta – la legge proporzionale, se non fosse accompagnata finalmente da una meditata applicazione del disatteso art.49 della Carta Costituzionale.

Domenico Galbiati