Come siamo fragili – di Domenico Galbiati

Come siamo fragili – di Domenico Galbiati

Spesso gli italiani eccedono in quella forma di “esterofilia”, ad un tempo ingenua e strumentale, con la quale si chiedono – ad esempio, quando sono in gioco temi di forte valenza etica – cosa possano pensare di noi i ben più progrediti popoli degli altri Paesi, più moderni, più avanzati, liberi dalle ubbie oscurantiste di un Paese che sente ancora sul collo il fiatone del suo oscurantismo cattolico….

Insomma, ci rimproveriamo spesso, fino a flagellarci, di non essere sempre al passo del “politicamente corretto”.
Non ci preoccupiamo, invece, di esibire “coram populo”, com’è successo ieri l’altro al Parlamento di Strasburgo, alcuni tratti comportamentali che, al di là dei nostri confini, vengono interpretati come endemicamente caratteristici di un Paese, che, a dispetto del suo immenso patrimonio di storia, di cultura e di civiltà, non riesce ad andare, nella considerazione altrui, oltre l’ immagine stereostipata e stantia dell’ “Italietta” di sempre.

Dopo la devastante esperienza del ventennio fascista che ci ha visti al fianco della barbarie nazista, l’Italia della rinascita democratica, l’Italia dell’ impresa e del lavoro che ha prodotto il “boom” economico, l’Italia tornata protagonista nel Mediterraneo, aveva saputo riconquistare apprezzamento e stima a livello internazionale.
Senonché – e qui non se ne fa colpa, se non per la sua parte più recente, al governo Meloni – stiamo, ancora una volta, sia pure in altre forme, precipitando in una spirale di minor considerazione e di tendenziale emarginazione nel contesto europeo ed internazionale.

Il nostro sistema politico è riuscito, una volta tanto, ad uscire dalla contrapposizione polare dei due schieramenti ed ha raggiunto una paradossale unità, solo avvitandosi – nel suo complesso e ciascuna forza politica per conto suo – su sé stesso, in una contraddizione tale da esporre, nuda alla meta, la nostra classe politica.

C’è da chiedersi come e con quale credibilità i nostri governanti possano porsi, a fronte dei rispettivi omologhi degli altri Stati membri dell’Unione, se neppure sanno quanto ne hanno in tasca, circa l’effettiva rappresentanza dei loro stessi partiti. Gentiloni per un verso, la Meloni e Giorgetti per l’altro e con loro Tajani – per carità di patria, meglio lasciar perdere Salvini e Conte – ne escono male.

Nel migliore dei casi smentiti dai loro e fors’anche sospettati di essere gli ispiratori, più o meno occulti, di una dissidenza da sé stessi davvero preoccupante, nella misura in cui sembra riproporre quel “cliché” di furbizia e di doppiezza che ci viene spesso rimproverato. Insomma, non possiamo lamentarci se veniamo considerati sostanzialmente inaffidabili.

Siamo un Paese fragile. Se mai ce ne fosse bisogno, anche il voto relativo al nuovo “patto di stabilità”, dimostra quanto sia profonda la crisi strutturale di un sistema politico incapace, al di là del merito e del contenuto della questione ora in esame, di tradurre, in maniera comprensibile, equilibrata e credibile, le posizioni che si fronteggiano sul piano nazionale nel più vasto contesto del discorso pubblico europeo ed internazionale. Un caso severo e preoccupante di analfabetismo politico di ritorno.

Domenico Galbiati