La vendetta della liquidità. Brexit e Bce rischiano di creare la tempesta perfetta -di Mauro Bottarelli

La vendetta della liquidità. Brexit e Bce rischiano di creare la tempesta perfetta -di Mauro Bottarelli

Un’altra tessera del domino è caduta, un altro fondo – in questo caso M&G, il più grande property fund del Regno Unito – si è trovato costretto a bloccare le redemptions sempre crescenti dei clienti, causa incapacità di smobilizzare con sufficiente velocità le securities e conseguente mancanza di liquidità.

Questa volta, però, la crisi pare differente. Più profonda e radicata, quasi il classico canarino nella miniera. Perché se proprio M&G fu il primo fondo open-ended a imporre il gate ai propri investitori a seguito del caos innescato dal referendum sul Brexit nel 2016, aprendo la strada ad altri sei che ne seguirono lo sgradito esempio in un breve lasso di tempo, ora ai contraccolpi inferti al mercato real estate e retail dall’incertezza che vige attorno all’uscita dall’Ue –
amplificata dal nervosismo per le elezioni politiche del prossimo 12 dicembre – si è unita un’altra criticità: la profezia della Bce. Anzi, quasi il mea culpa.

Nel fattispecie, quello recitato sotto forma di intervista con El Mundo dal vice-presidente dell’Eurotower, lo spagnolo Luis de Guindos. Il quale, a seguito di una conferenza pubblica tenuta il 21 novembre, volle poi sottolineare con il quotidiano madrileno il proprio pensiero: “Se il regime di tassi molto bassi che abbiamo scelto offre un sollievo all’economia nel suo complesso più ampio, abbiamo notato in contemporanea un aumento nelle assunzioni di rischio che potrebbe portare a sfide per la stabilità finanziaria…

I segnali di  questo atteggiamento ci arrivano quotidianamente da soggetti come fondi pensione, fondi di investimento e compagnie assicurative, i quali hanno aumentato e continuano a far crescere la loro esposizione verso i segmenti più rischiosi dei settori privato e sovrano.

Questo potrebbe avere implicazioni per il costo del finanziamento corporate, una dinamica che potrebbe a sua volta
esacerbare ogni possibile sviluppo recessivo e ribassista dell’economia reale”.

Infine, il ragionamento che suona oggi come un’infausta quanto logica e scontata previsione: “Una virata al ribasso della situazione economica della zona euro potrebbe schiacciare le valutazioni per gli assets più a rischio e meno liquidi, visto che attori di mercato come asset managers e hedge funds venderebbero con grande velocità. O,
almeno, tenterebbero di farlo”.

La famosa palla di neve che si tramuta in valanga. E che il 4 dicembre, a Londra è scesa a valle sotto forma appunto di blocco delle redemptions e bandiera rossa issata a segnalare una possibile più ampia crisi del settore real estate commerciale. M&G, infatti, essendo un fondo quotato non ha potuto giocare troppo con parole e formule di dissimulazione: ha dovuto ammettere che l’aumento delle richieste di uscita da parte dei propri clienti nell’ultimo
periodo “ha dato vita a outflows inusualmente alti e sostenuti dal M&G Property Portfolio, una situazione venutasi a creare per il combinato congiunto di incertezza perdurante legata al Brexit e e scostamenti strutturali in atto nel settore retail interno che ha reso particolarmente complesso e difficile vendere proprietà commerciali“.

Poi, la chiusa: “Date queste circostanze, ora abbiamo raggiunto un punto tale per cui applicare una sospensione temporanea dell’intero dealing ci appare il modo migliore per preservare gli interessi dei clienti del fondo“. E i propri, ovviamente. Quindi, non solo imposizione di gate per chi vorrebbe monetizzare e scappare via, prima che sia tardi e il cerino bruciato ma anche blocco totale dell’peratività del fondo flagship. E se il titolo ha perso “solo” il 2,6% in Borsa a seguito della notizia, questo grafico mostra appunto il tracollo patito dal Property Portfolio Fund, arrivato ai minimi da sei anni a questa parte.

Insomma, l’era glaciale della liquidità. E, soprattutto, il limbo per migliaia di investitori fra clientela retail e istituzionale, invitati a mantenere forzatamente la calma: don’t panic, sembra la parola d’ordine. Ma, al contempo, da M&G non è giunta nessuna indicazione – nemmeno di massima – su quando verrà ripristinata l’operatività da business as usual.

A poco più di un mese dal tonfo colossale patito dall’iconico fondo di Neil Woodford, vero guru degli hedge funds della City, un’altra tegola sembra destinata a minare la fiducia nel settore. Il quale, da inizio anno, ha già dovuto fare i conti con i guai – di vario ordine e grado – di Third Avenue, Gam e H20 Asset Management. La base della criticità comune? Liquidità. Come faceva notare sul finire di luglio Pascal Blanqué, Cio di Amundi, il più grande fondo di investimento europeo, “non esiste alcuna ragione al mondo per la quale si possa negare che stiamo per dover affrontare un problema di mismatch di liquidità, un qualcosa che ormai è nell’aria. E il fatto che esista una possibilità di prosciugamento della liquidità rappresenta uno dei timori che mi tiene sveglio la notte”. E ancora: “L’intero processo di market making ormai è sul ciglio del precipizio a livello di banche individuali ma il problema reale è
sistemico. Le banche infatti oggi sono meno esposte al rischio ma  semplicemente perché quest’ultimo è stato spostato sul lato dell’acquirente. Quasi interamente”.

E non a caso, la Fsa britannica non solo intende vigilare sugli sviluppi della vicenda M&G ma ha fatto trapelare come, più in generale, quest’ultimo caso ponga un serio e finale interrogativo riguardo l’intero processo di vigilanza su fondi focalizzati nell’investire in assets che richiedono molto tempo per essere monetizzati/venduti ma che, al tempo stesso, promettono agli investitori la possibilità di ritirare in ogni momento i loro soldi, al solo fine di invogliarli a rischiare e battere la concorrenza sui margini.

Rischioso. Molto rischioso. Ma, quantomeno, parte integrante della natura stessa dell’attività di fondi aggressivi e in parte speculativi, capaci di offrire grandi guadagni ma anche di farti perdere tutto. Insomma, chi entra in quel casinò, sa che esiste il rischio di uscirne in mutande. O di non uscirne, bloccato dai gate imposti dalla mancanza di liquidità per chiudere le posizioni su richiesta.

Non siamo alla logica dell’obbligazione subordinata delle banche venete piazzata alla cliente 90enne, chi entra lo fa a suo rischio e pericolo. Differente invece è il fatto che, in maniera fin troppo onesta e palese, sia il vice-presidente della Bce – ovvero un’entità che di fatto deve anche sovrintendere e vigilare – ad ammettere che le scelte di politica
monetaria in atto stiano creando i potenziali presupposti per instabilità di mercato. E proprio legata alla liquidità che, in soggetti come i fondi con la loro operatività aggressiva, rischia di prosciugarsi in tempi rapidissimi. E senza notificare il preavviso.

Ecco le parole finali di Luis De Guindos a El Pais, quasi da sfera di cristallo: “La supervisione di un settore come l’asset management non è minimamente comparabile a quella del comparto bancario, ad esempio. Lì c’è un rischio reale. Se ricevono una richiesta di liquidazione da uno, due o tre unità di investimento, devono farlo entro pochissimi giorni. Quasi immediatamente. E per questa dinamica strutturale, io vedo seri rischi per potenziali squilibri sulla liquidità. Questa rappresenta la mia preoccupazione più grande, al momento”.

Alla luce di quanto accaduto, difficile dargli torto. E dalla Francia, proprio in queste ore, giungono scricchiolii poco rassicuranti al riguardo. Il mito dell’Europa continentale come soggetto esente dal virus speculativo di cui è cronicamente affetta la City sta forse per crollare, come implicitamente prefigurato da Pascal Blanqué nella sua intervista estiva con Bloomberg?

Mauro Bottarelli

Pubblicato su Businnes Insider