Le tasse e chi produce la ricchezza – di Giancarlo Infante

Le tasse e chi produce la ricchezza – di Giancarlo Infante

Il manifesto fiscale di Giorgia Meloni è stato messo in pratica. Dopo essersi attribuiti meriti che sono stati di altri (CLICCA QUI), a seguito dell’arrivo di circa 24 miliardi in più di entrate fiscali maturati grazie all’Azione svolta in precedenza dall’Agenzia delle entrate, si è sostanzialmente concretizzata la teoria del “pizzo di Stato”. Infelice espressione che non è sfuggita solo agli italiani, soprattutto a quelli che un tale “pizzo” lo trovano materializzato ogni mese in busta paga. Le cancellerie europee ascoltano tutto. E soprattutto alla vigilia del grande confronto sul Debito pubblico e, magari, sull’introduzione di una politica fiscale comune.

Giorgia Meloni è, dunque, costretta a cambiare un po’ il lessico. E si concede una scivolata d’ali, un’ammissione: non sono felicissima delle tasse … eppure sono necessarie. Una virata dai tempi in cui faceva circolare il suo eccitato video girato al distributore dove se la prendeva con le accise sui carburanti… che con lei sono rimaste tali e quali. Il fisco “amico”. Altra retorica espressione che serve solo a confondere le acque e a nascondere il fatto che si tratta di un “fisco amico degli amici”.

E così, muovendo un po’ le “tre carte” sul tavolo, lo Stato rinuncia a una gran quantità delle somme dovute dagli evasori per il passato e codifica la cosa per il futuro. Un bravo commercialista assicurerà una possibile evasione a vita. A quelli che non hanno stipendio e pensione tassate alla fonte.

Tutto all’insegna dell’idea di non disturbare chi produce ricchezza e della retorica populista che oramai è una costante di questo governo. Ma chi è che produce la ricchezza? E la produce sempre sulla spinta di un sentimento altruistico? Il rimando ad uno dei passaggi che tra i primi studiamo tutti a scuola della storia romana, la rivolta della gleba contro i patrizi, è sufficiente da solo a rispondere ad entrambi i quesiti.

E lo sanno molto bene i dipendenti e i pensionati chi è a creare davvero la ricchezza del Paese, di tutto il Paese. Sanno cChi è a pagare per la sanità, per la Scuola, la manutenzione straordinaria e ordinaria di strade, ponti e viadotti, per mantenere l’apparato istituzionale, centrale e locale. Anche a coprire le spese delle Forze armate e quelle di polizia. Sono quelli su cui pesa per l’85% del carico fiscale Irpef. È ogni santo mese che viene, senza condoni e senza rateazioni.

Sappiamo bene da dove vengono elusione ed evasione fiscale. E’ lo stesso Governo Meloni a dirci che, mediamente, abbiamo un’evasione certificata di 96,3 miliardi, “di cui 84,4 miliardi di mancate entrate tributarie e 11,9 miliardi di mancate entrate contributive”. E’ stato il Ministro Giorgetti ha scrivere ufficialmente sul “valore aggiunto generato dal sommerso economico” (CLICCA QUI) che vale 157,3 miliardi di euro. Come abbiamo già ricordato (CLICCA QUI) parliamo di circa la metà dei fondi assegnati all’Italia con l’intero Pnrr.

Sappiamo bene quanto sia, al contempo, salvaguardata la rendita non produttiva ed anche quella finanziaria per cui sono previste aliquote del tutto ridicole. È proprio un peccato vedere milioni di italiani che finiscono per votare quelli che davvero li taglieggiano, impegnati a tutelare quelli che non pagano il dovuto. Gli stessi che reclamano sicurezza, strade asfaltate, bonus di ogni genere. L’ultimo è quello destinato a terrazze e a giardini (CLICCA QUI) che non si trovano frequentemente nei casermoni dei quartieri periferici e nelle case popolari.

Come per i balneari ed altre categorie “protette” dalla destra, siamo alla ripetuta distribuzione di mancette di ogni genere per accattivarsi serbatoi di voto tra i quali quelli per i quali, guarda caso, in 18 mesi sono stati assicurati altrettanti condoni.

Ma che la destra abbia sempre vissuto sulle disuguaglianze è un dato storicamente acquisito. Come sempre storicamente acquisito è il fatto che la destra raccogliere il consenso nei periodi più turbolenti provocati dalle crisi finanziarie, dalle bolle speculative, e dallo scoppio di conflitti militari che non sono certo provocati dai ceti più popolari.

Quello che davvero disturba più di tutto è il vedere taluni sedicenti popolari che seguono la destra più estrema sulla via dell’incremento delle disuguaglianze. Mentre continuano con la loro litania della proposta di un centro e del moderatismo piccolo borghese, per usare una vecchia terminologia, e si prestano a sostenere politiche socialmente regressive ed inique.

Gli eredi di Silvio Berlusconi, che si compiacque di paragonarsi a De Gasperi, stanno facendo agitare nelle tombe Ezio Vanoni e i suoi successori autenticamente “popolari” che hanno impostato e difeso l’idea di una perequazione fiscale da mettere tra i primi fondamenti di una democrazia sostanziale e in grado di assicurare quella partecipazione di tutti all’impegno comunitario sulla base di un apporto che tenga conto delle oggettive condizioni e possibilità.

Parliamo giustamente contro il premierato e contro l’autonomia differenziata quali perniciosi attacchi alla Repubblica costituzionalmente definita. Con la politica fiscale praticata da Giorgia Meloni si chiude il cerchio della spallata all’Italiana solidale  ed inclusiva. E bisognerà tenerne conto pure alle elezioni europee e valutare i possibili compromessi che alcuni del Ppe potrebbero essere tentati di fare rischiando pure una scissione. Viste le divisioni che già emergono al suo interno e ribadite recentemente anche in occasione del voto sul “green deal”.

E le opposizioni? Si abbandonano al circo mediatico fatto di tante vacuità. Indugiano sulle “delmastrate” e sulle “donzellate”. Purtroppo, si sono intestati l’impegno per tanti diritti individualisti e trascurato i più generali e richiesti diritti sociali. E questo spiega tante cose sulla perdita dei voti della classe operaia del ceto medio e dei cattolici costretti a rifugiarsi nell’astensionismo delusi dalla destra e dalla sinistra.

Giancarlo Infante