Mes, Patto di stabilità, migranti e …l’influenza di Giorgia – di Giancarlo Infante

Mes, Patto di stabilità, migranti e …l’influenza di Giorgia – di Giancarlo Infante

Auguri per una pronta ripresa in salute alla Presidente Giorgia Meloni colpita dal male di stagione. Un’influenza, però, giunta in qualche modo provvidenziale proprio nel giorno in cui in Europa ha dovuto registrare non proprio due passi indietro, ma di lato sì. È questo, ovviamente, non per il fatto in sé, ma in relazione dell’ardore preannunciato con cui avremmo fatto valere le nostre ragioni sul Patto di stabilità e sulle nuove norme comuni in materia d’immigrazione.

L’influenza giunse provvidenziale, sottraendo Giorgia Meloni ad una sfilza di domande imbarazzanti, anche per quanto accaduto poche ore dopo con il clamoroso voto contrario della Camera alla ratifica del Mes. Un tema che per mesi e mesi si è sviluppato di pari passo con l’approvazione del nuovo Patto di stabilità.

Sul punto relativo ai migranti, dobbiamo registrare ancora una volta che il Trattato di Dublino e siamo rimasti molto lontani dalla definizione di una risposta davvero organica della delicata questione che tutti riconoscono, oramai, di “portata storica”. Si continuano a curare i sintomi piuttosto che la malattia. Forse perché il vero “Piano Mattei” che l’intera Europa dovrebbe mettere in campo è cosa facile da dirsi, ma complicatissima e costosa da mettere in azione.

Per quanto riguarda il Patto di stabilità il Ministro Giorgetti ha dichiarato: “ci sono alcune cose positive e altre meno. L’Italia ha ottenuto però molto e soprattutto quello che sottoscriviamo è un accordo sostenibile per il nostro Paese”. Lo ha detto dopo aver dovuto ingoiare anche il rospo amaro di approvarlo in teleconferenza, cosa che non voleva assolutamente fare sette giorni prima quando dichiarò “… ma che io vada a chiudere un accordo che condiziona l’Italia per i prossimi 20 anni in videconferenza ,.. anche no, grazie (CLICCA QUI)”.

Non abbiamo “spezzato le reni alla Germania” in ogni caso. Così come non hanno avuto alcun corso le minacce di mettere un veto in caso di disaccordo. Intenzioni non ufficialmente profferite, ma lasciate ampiamente circolare.

C’è da dire che su questi due accordi, nonostante le “cose meno positive”, il comportamento del nostro Paese è stato responsabile. Si è concretizzata la ricerca di un compromesso, in videoconferenza o meno che fosse,  e non si può che concordare con l’idea di riporre la clava e accettare il metodo della ragionevolezza richiesta dal complesso meccanismo attraverso cui si formano le decisioni in sede europea. Tra l’altro, esiste ancora la possibilità di affinare taluni passaggi e smussare altri angoli considerati troppo spigolosi nel corso della dialettica che si svilupperà fino al marzo 2024 tra Assemblea di Strasburgo e Commissione.

In questo contesto, però, il voto contrario della Camera alla ratifica del Mes appare contradditorio con la logica seguita con gli altri di Bruxelles e pone oggettivamente degli interrogativi. Che il “nuovo” Salva stati fosse in qualche modo collegato al Patto di stabilità è stato sempre comunque scontato, al di là di voler o meno dare alla cosa una venatura ricattatoria. Il collegamento è nei fatti, insito nelle nuove impostazioni strategiche di politica economica che l’Europa intende darsi per ciò  che riguarda i bilanci degli stati e, quindi, porre mano alla situazione finanziaria dell’intera Unione cui non è certo indifferente la condizione di ciascuno dei singoli 27 componenti.

Ricordiamo che nel caso del Mes si tratta della ratifica di un Trattato senza che vi sia alcun obbligo ad applicarlo. Permangono pure le nostre contrarietà alla sua strutturazione. Lo abbiamo scritto più volte con Daniele Ciravegna su queste pagine e INSIEME lo ha messo per iscritto già in occasione della prima ratifica del 2020 (CLICCA QUI).Quindi, non ne siamo certo noi difensori a spada tratta. Anzi. Questo, però, non significa che sia cosa saggia ed opportuna impedire che altri paesi europei lo possano utilizzare nel caso dovessero ritenerlo opportuno.

Il voto di ieri è il prezzo ideologico, e pratico, che Giorgia Meloni ha dovuto pagare a Matteo Salvini impegnato in una continua concorrenza che le fa nell’elettorato antieuropeista. Ha alzato i muri e richiesto un prezzo d’immagine di cui andare fiero e, così, far notare il potere d’interdizione che egli intende far valere in una coalizione comunque presentata come “unita”. E intanto Forza Italia si astiene gettando ancora una volta alle ortiche la tanto sbandierata collocazione europeista e nel Ppe.

Cose tutte italiche che contraddicono quanto di positivo, e di ragionevole, è stato fatto poche ore prima per ciò che riguarda l’accordo sui migranti e il Patto di stabilità. Un centrodestra, dunque, “bipolare” che ogni tanto ha bisogno del rigurgito contro il resto d’Europa. E che finisce per  farci diventare “a Dio spiacenti e a’ nemici sui”.

Così non si può che essere d’accordo con Maurizio Cotta quando commenta: “Il no alla ratifica del MES fa emergere le contraddizioni della politica europea del governo e la debolezza di Meloni di fronte alla concorrenza della Lega. Emerge anche come la debolezza del centro nel sistema bipolare lasci prevalere le posizioni estremiste che isolano l’Italia nel contesto europeo. Bisogna ridare forza a un centro non raccogliticcio ma con una chiara strategia politica”.

Insomma, provvidenziale l’influenza nei giorni della più evidente contraddittorietà in materia europea.

Giancarlo Infante