L’Iran e gli Usa dopo lo scambio dei prigionieri – di Edoardo Almagià

L’Iran e gli Usa dopo lo scambio dei prigionieri – di Edoardo Almagià

Prologo:   L’Iran ha passato senza troppi traumi il primo anniversario della morte della giovane Mahsa Amini. Le autorità hanno fatto il possibile per impedire manifestazioni di protesta. Qualcuno è tornato in piazza e a Tehran, come in alcuni centri curdi, si è aperto il fuoco mentre ad Isfahan vi sono stati una novantina di arresti. Il regime si sta impegnando al massimo per reprimere il dissenso, facilitato in questo dalla diffusione  della tecnologia digitale in grado di sorvegliare ed individuare chi si muove per le strade. Il paese resta tuttavia scontento e la situazione interna non è certo facile.

Complicata anche la situazione negli Stati Uniti in vista delle imminenti elezioni presidenziali. Due terzi degli americani sono contrari sia alla ricandidatura dell’attuale presidente Biden che a quella del suo rivale Trump. Si è anche aperto un dibattito sull’età anagrafica dei candidati mentre la maggioranza degli elettori moderati dà l’impressione di non identificarsi in nessun partito. Vi è intanto anche il rischio che lo stato federale possa smettere di pagare i suoi conti con la conseguente cessazione delle attività della Pubblica amministrazione. Il paese si interroga e rivela tutte le sue divisioni.

Un accordo di scambio:  Tramite i buoni uffici del Qatar e dopo alcuni mesi di non facili negoziati, tra Teheran e Washington si è arrivati ad un accordo che si è tradotto nella liberazione di dieci  prigionieri, cinque dei quali erano detenuti negli Stati Uniti e cinque in Iran. Questi ultimi avevano anche la cittadinanza americana che le autorità di Teheran avevano rifiutato di riconoscere. Erano stati arrestati con l’accusa di spionaggio e cospirazione a danno della Repubblica Islamica.

Quanto agli iraniani liberati, generalmente parlando erano stati condannati per traffico di materiale tecnologico utile all’industria militare ed esportazione illegale di attrezzature da laboratorio. Di questi, due hanno deciso di rientrare nel loro Paese, altri due hanno preferito rimanere negli Stati Uniti e l’ultimo ha dichiarato di voler raggiungere dei parenti che oggi vivono sul continente americano.

Oltre a liberare i cinque cittadini iraniani, Washington ha sbloccato 6 miliardi di dollari provenienti da vendite di petrolio alla Corea del Sud e successivamente confiscati. Una volta trasferiti su un conto particolare in Qatar, questi sarebbero stati poi versati su sei diverse banche iraniane.

Sia il presidente Biden, sia il Segretario di Stato Blinken hanno accolto la notizia con sollievo e si sono rallegrati per il buon esito dell’operazione. Gli avversari di parte repubblicana non hanno esitato a cogliere l’occasione per accusare l’amministrazione di aver pagato un riscatto. Di fatto così non è stato e la Casa Bianca può vantarsi di aver ottenuto un successo, non avendo sborsato un centesimo di suo per portare a termine questa trattativa.

Come abbiamo visto, si è limitata a scongelare degli averi appartenenti di fatto all’Iran. Per sottolineare di aver comunque mantenuto un atteggiamento di rigore, lo stesso presidente Biden ha fatto sapere che in caso di ulteriori provocazioni continuerà a sanzionare la Repubblica Islamica, aggiungendo che vigilerà su come verranno spesi questi soldi indicando inoltre che potranno essere impiegati unicamente a scopi umanitari per l’acquisto di beni necessari alla popolazione. Ha poi sanzionato l’ex-presidente Ahmadinejad ed il ministro dell’Informazione.

Per quel che riguarda il pubblico americano, la notizia è passata quasi inosservata e la reazione si è rivelata ben meno marcata di quella dell’amministrazione. In questa faccenda da parte di Teheran è stato compiuto indubbiamente uno sforzo e non ritengo improbabile che in futuro si possa andare al di là di qualche semplice scambio, dato  che in Medio Oriente si stanno attualmente muovendo diverse situazioni.

Un contesto in movimento:  Ho sempre ritenuto che in politica estera i simboli fossero importanti. Merita dunque qualche rilievo l’arrivo a Teheran di Cristiano Ronaldo insieme alla squadra saudita dell’al-Nassr. Erano sbarcati in Iran per sfidare il Persepolis nel contesto della Champions League asiatica. Il campione portoghese è stato accolto trionfalmente da una folla entusiasta che ha preso d’assalto ed inseguito i pullman con a bordo i giocatori fino in hotel. E’ stata tale l’euforia che si è dovuto annullare l’allenamento di rifinitura prima della partita.

Poco dopo il presidente Raisi si è recato all’Assemblea generale dell’ONU, dove è salito sul podio per un breve intervento. Ha chiesto agli Stati Uniti di revocare le sanzioni che non si sono rivelate all’altezza dei risultati sperati. Si è poi dichiarato pronto a sostenere un accordo di pace riguardo la guerra in Ucraina. E’ importante sottolineare che questa volta si è presentato anche come parte del gruppo dei BRICS, nel quale sono stati ammessi sia l’Arabia Saudita che gli Emirati Arabi Uniti. Questo lascia sperare alla Segreteria generale delle Nazioni Unite che si possa giungere ad un calo delle tensioni. Non è infatti un caso che Teheran abbia ripreso il dialogo con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica e non abbia più superato il 60% di arricchimento dell’uranio.

Va ricordato che nel 2018 per volontà del presidente Trump gli americani erano usciti unilateralmente dall’accordo sul nucleare quando, di fatto, l’Iran lo stava rispettando. E’ poi stato ricoperto di sanzioni mentre gli europei non hanno aperto bocca. L’accordo tuttavia ancora esiste, ma va detto che Stati Uniti ed Europa temono tutt’ora che l’Iran voglia dotarsi dell’arma atomica. In risposta, la Repubblica Islamica non ha esitato a giocare la carta dei rapporti di forza e prendere degli ostaggi da usare poi nel modo più conveniente.

Questo scambio di prigionieri è certamente stato un primo passo diplomatico al quale potrebbero seguirne altri in vista di un allentamento delle tensioni e un miglioramento nei rapporti tra le due nazioni. La speranza è che in un eventuale futuro si possa arrivare ad una ripresa dei negoziati sul nucleare. Ad oggi non si può dire molto di più perché ben poco si sa: penso tuttavia che tra le due parti siano in corso delle trattative sotterranee che le vede con tutta probabilità continuare un loro dialogo. Questo dovrebbe dare una lezione agli europei che non si mostrano capaci di molto.

Che in Medio Oriente le cose si stiano muovendo lo dimostra anche il recente viaggio del premier israeliano Netanyahu a Washington, la visita in Arabia Saudita del suo ministro del Turismo e l’invio per la prima volta in 30 anni di una delegazione saudita nei Territori palestinesi in Cisgiordania al fine di rassicurare questi ultimi che Riyadh rimane al loro fianco.

Considerazioni finali: Molte cose stanno dunque bollendo in pentola ed un eventuale accordo tripartito tra Stati Uniti, Israele ed Arabia Saudita non potrà non tener conto anche dell’Iran. Come evolveranno le cose e quale piega prenderanno gli eventi lo si saprà solo dopo le elezioni presidenziali americane dell’anno prossimo. Va ricordato che per rientrare nell’accordo sul nucleare il presidente, qualunque esso sia, avrà bisogno del dell’approvazione del Congresso e questo è vero per qualsiasi altra decisione importante in politica estera.

In attesa di sapere quale sarà il nuovo Presidente degli Stati Uniti le cose nel mondo subiranno una battuta d’arresto e non credo ci si possano aspettare grandi attività diplomatiche

Edoardo Almagià