I complessi di inferiorità dei sovranisti

I complessi di inferiorità dei sovranisti

Ieri, Domenico Galbiati nel suo intervento sul sovranismo e le sue radici ha parlato di un fenomeno che si potrebbe leggere anche come “una forma di compensazione difensiva nei confronti di un mondo complesso ed indecifrabile, accelerato, straordinariamente mutevole, tale da cancellare dall’orizzonte esistenziale di ognuno punti di riferimento consolidati” e dei “risvolti esistenziali” che implica e del “turbamento” che l’accompagna (CLICCA QUI) .

Una riflessione fortemente giustificata non solo dalla postura, dal linguaggio e dal modo di fare politica, spesso più all’insegna della propaganda che altro, da parte di suoi esponenti, anche autorevoli ed apicali. Sollecitata soprattutto da una pletora di vecchie e nuove presenze sui giornali e sulle televisioni. Che non sembrano aver portato una gran qualità al livello delle discussioni e dei contributi e che non sappiamo, alla lunga, quanto sia utile davvero anche a Giorgia Meloni.

Assistiamo ad una specie di delirio di onnipotenza e vediamo a destra la creazione di quel “culto della personalità” che pensavamo fosse destinato a scomparire con la fine del comunismo, i suoi “leader massimo” i suoi “migliori”. A conferma che molto spesso gli estremismi sono speculari l’uno all’altro e ci lasciano con lo stesso risultato. C’è però bisogno di tempo affinché, calate le polvere della retorica e delle frasi roboanti, si scorgano davvero i punti d’approdo e si possa valutare se c’è “vera gloria”.

Sembra che stiamo vivendo in un’era nuova. Dove la Storia si ritrova al giorno di partenza. E così, normali impegni di governo, in Patria e fuori, diventano vicende epocali. O modesti provvedimenti, pensiamo alle poche centinaia di euro messe nelle buste più leggere, e per solo sei mesi, diventano chissà che cosa. O che dire, ancora, sui doverosi interventi a fronte di calamità nazionali che il nostro Paese affronta da decenni, anzi da secoli?

Questo modo di fare potrebbe alla fine rivelarsi davvero dannoso per un’esaltazione di leader che, alla fine, sono prigionieri, come lo sono stati tutti quelli che hanno governato prima di loro.

C’è un bisogno profondo di riconoscimento. Un’ansia da prestazione. E questo sovverte come se nulla fosse decenni di atteggiamenti e prese di posizioni del tutto opposte a quelle del presente. C’è bisogno di un riscatto per il lungo periodo in cui si è stati meno che comprimari nella politica e nella guida delle istituzioni. E questo apre al rischio di male interpretare uomini, cose e comportamenti. Cosa estremamente pericolosa soprattutto nelle relazioni internazionali le quali andrebbero interpretate andando ben oltre le frasi di circostanza, molto spesso, solo interessate … e momentanee.