Alle radici del sovranismo – di Domenico Galbiati
In una recente intervista rilasciata a “La Stampa”, Daniel Cohn-Bendit, leader del sessantotto parigino, esprime un’opinione, in ordine al recente voto spagnolo, in controtendenza rispetto a molti altri osservatori. Ritiene che il voto non indebolisca, ma rafforzi la Meloni e soprattutto pensa che, in Europa, il sovranismo sia inarrestabile.
Attribuisce questa tendenza alla “irrazionalità” della politica, ad esempio, laddove applicata ai fenomeni migratori – carta che la destra gioca in modo spregiudicato – non sa riconoscere la contraddizione tra la loro necessità e l’incapacità o la non volontà politica di governarne i percorsi. In effetti, non serve demonizzare il sovranismo. Bisogna cercare di capire quali dinamiche lo sostengano. Solo in questo modo è possibile penetrare nella sua guardia e cercare di smontarne l’ impalcatura. Limitarsi alla condanna rischia di accecare lo sguardo critico con cui è necessario accostarlo e si finisce per dargli maggior vigore.
Insomma, dove sono ed in quale terreno affondano le radici del sovranismo? In effetti, è alimentato da un sentimento diffuso di diffidenza o di espressa avversione nei confronti del “diverso”, di chiunque irrompa nell’ordinato orto domestico delle consuetudini rassicuranti. E di altrettanto sospetto nei confronti delle istituzioni, per lo più vissute come intrusive o perfino minacciose. C’è chi lo interpreta – e così soprattutto la sua declinazione più marcatamente “nazionalista” – come una manifestazione di di forza esuberante, la dimostrazione di una fiera consapevolezza di sé, la rivendicazione, spesso stentorea, di un’identità chiusa ed esclusiva.
In verità, è vero piuttosto il contrario. Sottende un sentimento inconfessato di precarietà, una malsicura coscienza del proprio “io” personale e collettivo, un timore sordo che si cerca di rimuovere con posture che poco o nulla hanno di sostanziale. Gode, si può dire, di un substrato “pre-politico” che la destra, nelle sue articolazioni, sfrutta soffiando sul fuoco, alimentando sentimenti di insicurezza. Ai quali contrappone poi terapie securitarie su cui investe le proprie attese elettorali, sommando al ruolo dell’ incendiario quello del pompiere.
In realtà, le ragioni che sostengono il sovranismo e le sue declinazioni in chiave prettamente “nazionalista” oppure più genericamente populista, vanno esplorate anche in altre direzioni. Ad esempio, esaminando da vicino risvolti ascrivibili ad una psicologia individuale e, nel contempo, collettiva che forse ha un peso maggiore di quanto non si pensi comunemente. Un versante che ha a che vedere con le dinamiche ed i percorsi di costruzione dell’ identità di ciascuno. Quest’ ultima consiste di un dato strettamente personale, ma ha bisogno di essere integrata da quei profili di appartenenza ad un gruppo, ad una classe, ad una qualche categoria che sono complementi indispensabili perché ognuno abbia chiaro quale sia il proprio “, ubi consistam” e si senta protetto, coinvolto ed allineato in una confortante “logica di gregge”.
Si può legittimamente leggere il “sovranismo” come una forma di compensazione difensiva nei confronti di un mondo complesso ed indecifrabile, accelerato, straordinariamente mutevole, tale da cancellare dall’orizzonte esistenziale di ognuno punti di riferimento consolidati. E’ verosimile – ma la cosa andrebbe testata con opportuni strumenti di indagine e di misura – che vi sia una relazione tra le trasformazioni che attraversano il nostro tempo, l’accelerazione che imprimono al vissuto di ognuno, i risvolti esistenziali che implicano, il “turbamento” che li accompagna e l’istanza sovranista?
E’ verosimile che quest’ultima, in certo qual modo, si auto-alimenti, in una sorta di circolo vizioso che corre tra lo smarrimento e, conseguentemente, la ricerca di identità e di rassicurazione di cui è espressione ed i rimedi che, proposti per contrastarla, di fatto la enfatizzano? L’insieme dei processi che raccogliamo sotto il termine di “globalizzazione” mettono fortemente in discussione attitudini, comportamenti, certezze antiche. E’ un po’ come se ci muovessimo su un treno talmente veloce da non poter fissare in immagini precise il panorama che possiamo osservare dai finestrini e, quindi, comprendere dove siamo. E il tempo smarrisce la durata, si risolve e si dissolve in un viluppo tra passato e futuro che esita nell’istantaneità del momento, per cui non c’è né memoria né attesa. Si tratta di processi sostanzialmente sub-luminari che alterato la percezione dello spazio e del tempo, le due categorie imprescindibili in cui si colloca ogni nostra esperienza. Dunque, processi che faticosamente vengono tematizzati coscientemente, ma comunque tali da creare un rumore di fondo che destabilizza le nostre sicurezze.
Ha ragione, in definitiva, Cohn-Bendit: non è facile porre un argine al sovranismo, se non creando o ricreando una coscienza “popolare” diffusa e coinvolgente, che riproponga quei sentimenti di coesione, di solidarietà, di reciprocità, di condivisione di un orizzonte comune, in carenza dei quali, immersa in un mondo individualista e sfilacciato, la persona si sente nuda alla metà, abbandonata a sé stessa, cosicché soffre una angoscia sottile, quasi impercettibile che la intimorisce e la confonde.
Domenico Galbiati