Cosa c’entrano i popolari con i conservatori? – di Giancarlo Infante

Cosa c’entrano i popolari con i conservatori? – di Giancarlo Infante

Il Partito popolare europeo è un Giano bifronte?

Fortunatamente, nel Ppe c’è chi contrasta la folle idea dell’alleanza con la destra estrema. L’esperienza italiana conferma che la rincorsa degli estremisti fa solo vincere questi ultimi all’interno di una radicalizzazione che, paradossalmente, viviamo, e non solo in Europa, nel pieno di quella che credevamo fosse l’era post ideologica. Più che alle viscere e alla perenne propaganda, la situazione del mondo dovrebbe far ricorrere, finalmente, alle idee e ai progetti di spessore.

Silvio Berlusconi, e Forza Italia, si sono assunti la responsabilità di partecipare a una tale radicalizzazione che, alla fine, ha consegnato ad altri la guida del fronte di destra, oltre che provocarne l’estremizzazione più radicale.

L’individualismo radical chic, comunque con alle spalle un preciso disegno economico e sociale, ci fa ritrovare con l’organizzazione di un altro polo opposto che utilizza consolidati valori per una risposta altrettanto drastica e semplificata che raccoglie, anche, le paure del nuovo. Il “trumpismo” americano, e la sua risposta al cosiddetto “mainstream” ce lo sta plasticamente a dimostrare.

Due carenze a confronto. Che dimostrano l’esistenza di un diffuso timore di fronte alla complessità delle cose del mondo. Due risposte entrambe sbagliate a tutto ciò che impone, comunque, dei cambiamenti del sistema politico tradizionale, dei paradigmi di un capitalismo che ha visto emergere la finanziarizzazione a danno dell’economia reale, e che finisce per investire pure il senso della Vita e delle relazioni umane. Se la sinistra non è in grado di fornire una risposta inclusiva, la destra ne approfitta utilizzando tutte le armi della strumentalizzazione populista.

Il grande mondo del popolarissimo europeo non poteva certo restare al riparo da una temperie così profonda. E in un contesto in cui il ripetersi di gravi sconvolgimenti economici, l’incalzare della crisi climatico-ambientale, le conseguenze della guerra d’Ucraina, è molto altro, richiedevano e richiedono un punto e a capo.

Un punto e a capo, in realtà, già in parte impostato a metà dopo le elezioni europee di tre anni fa che consentirono la nascita della cosiddetta alleanza Ursula. La pandemia da Covid, la guerra in Ucraina e i grandi sconvolgimenti geopolitici in atto, che partono, ma che non riguardano solo il tema energetico, a dispetto delle grandi grida sulla fine dell’Unione europea, hanno dato la stura ad alcuni accenni, per quanto timidi, sulla possibilità che l’Europa ritrovi almeno in parte i valori e lo spirito fondante. Così abbiamo assistito ad un impetuoso sforzo comune per contrastare la pandemia e rispondere al suo derivato economico. Lo stesso è valso, e vale, nel contrasto alla guerra d’invasione voluta dalla Russia in Ucraina. Certo, non è ancora il processo di coesione che sarebbe necessario per portare l’Europa al pieno titolo che meriterebbe all’interno e nel mondo, ma in qualche modo siamo anche un po’ più distanti dall’Europa che infierì sulla Grecia 12 anni fa.

Una parte del popolarismo europeo, coincidente con quello che di più ha inseguito, per interessi nazionali, oltre che ideologici, parole d’ordine come quelle della “austerità” o della “frugalità” resta convinto della necessità di saldarsi con il conservatorismo dei giorni d’oggi. Tutt’altro che moderato come ci farebbe pensare un termine che, però, eravamo adusi collegare alle vecchie figure dei pensatori e dei politici liberali di fine ‘800 e del ‘900. Si tratta, infatti, di un’area arrembante che emerge nell’ottica dei nazionalismi più arretrati e più sordi ad ogni autentico cambiamento. In campo istituzionale, la scelta non è certo quella di una cristallina partecipazione dal basso, a meno che non sia concepita come populismo. In campo economico, crea ulteriori divisioni geografiche e sociali. In campo ambientale, la scelta continua ad essere quella della ripresa dell’uso dei combustibili fossili e si guarda con sospetto e timore ad ogni ipotesi di “transizione” e di “trasformazione”.

E’ evidente, ce  lo sta dicendo in queste ora anche tutta la discussione tra i sovranisti nostrani, come tutto ciò cozzi con tutta del popolarismo che, invece, vuole più solidarismo, più partecipazione autentica del popolo ( quello vero, fatto da persone e non da masse indistinte), ai processi democratici. Un popolarismo che accetta la sfida posta oggi dalle condizioni del Pianeta su cui viviamo, dalle difficoltà oggettive in cui versa il processo lungo il percorso europeo, e il passaggio verso nuove forme di produzione, offerte di servizi e di organizzazione del lavoro.

E’ la mancata comprensione di tutto ciò che sta alla base della vulgata circolata nelle scorse settimane sulla possibilità che l’Europa, alla fine letta con i soli occhiali della polemicuccia o l’autoesaltazione italiana, possa essere disegnata da un accordo tra quelli che, al momento, in Italia hanno vinto elezioni a cui ha partecipato meno della metà degli aventi diritto al voto e i loro alleati che, escluso in Ungheria e Polonia, sono una minoranza in tutti gli altri paesi europei. E questo spiega i giorni di grande confusione, di sostanza e di immagine, in cui sono finiti i nostri della destra italiana.

Giancarlo Infante