Come finirà l’inarrestabile ascesa di Putin? – di Maurizio Cotta

Come finirà l’inarrestabile ascesa di Putin? – di Maurizio Cotta

La marcia su Mosca della milizia semi-privata Wagner dell’oligarca Prigozin, rapidamente arrivata alle porte della capitale e altrettanto rapidamente conclusasi, rimane ancora tutta de decifrare nel suo significato specifico e nelle sue conseguenze, ma certamente concorre a illuminare meglio i caratteri della vicenda del dittatore che ha guidato la Russia sino ad oggi e il cui futuro è diventato nel weekend meno certo.

La irresistibile ascesa di un relativamente oscuro funzionario dei servizi segreti dell’URSS comincia nella caotica fase finale del presidente Yeltsin quando il giovane Putin, probabilmente grazie ad un accordo tra la famiglia del presidente, i servizi segreti e alcuni oligarchi, viene affiancato al sempre più imprevedibile presidente della Russia con l’intento di mettere ordine nella Russia e stabilizzare il potere politico. Dopo aver lavorato nell’ufficio del presidente Putin viene nominato primo ministro nel 1999 e, con le dimissioni di Yeltsin, diventa presidente pro tempore e dopo pochi mesi nel 2000 viene eletto presidente. La sua carriera si sviluppa in questa fase secondo le regole della costituzione democratica che la Russia si è data.

Le nuove elezioni del 2004, condotte ancora in maniera abbastanza regolare, confermano a larghissima maggioranza la nuova vittoria di Putin. Da questo punto in poi le regole della costituzione democratica diventano un ostacolo per il presidente perché non consentono un ulteriore mandato. La soluzione, formalmente legale ma sostanzialmente diretta a rendere nulla una fondamentale garanzia democratica è quella di sostenere per la carica di presidente una figura debole e di sua creazione (Dimitri Medvedev) e di prendersi il posto di primo ministro e con questo continuare a controllare le leve operative del potere. Ma quando Medvedev sembra voler correre per un secondo mandato presidenziale e quindi volersi affrancare dalla tutela del suo mentore e magari guidare una svolta più liberale e filo-occidentale (quella era allora l’inclinazione di Medvedev), Putin blocca decisamente queste velleità e si ripresenta nel 2012 candidato alla presidenza.

La strada della violazione di fatto dei principi liberaldemocratici della costituzione è così pienamente in corso. La vittoria del 2012 e la progressiva emarginazione di Medvedev mostrano che Putin non vuole correre rischi. E sempre più si estende l’uso di strumenti illegali per difendere il potere. I brogli nelle elezioni parlamentari si intensificano e così le misure punitive nei confronti delle opposizioni liberali che culminano nell’assassinio (per interposta persona?) di Boris Nemtsov, il principale leader di queste. Le restrizioni alla libertà di stampa crescono. Rieletto di nuovo nel 2018 Putin si trova di nuovo vicino al nodo del divieto di un terzo mandato consecutivo nel 2024. Per dare una parvenza di legalità alla perpetuazione del suo potere Putin introduce una riforma della costituzione che riporta la durata del mandato presidenziale a quattro anni e azzera il computo dei mandati. La strada è dunque aperta per altri due mandati (dopo i quattro non consecutivi precedenti) a partire dal 2024!

Lo stupro legalistico delle garanzie costituzionali contro la perpetuazione del potere presidenziale va di pari passo con la crescente concentrazione del potere nelle mani di Putin e della sua cricca di alleati nei gangli dello stato e dell’economia, la marginalizzazione di ogni potenziale concorrente (avvelenamento e poi prigione di Navalny), la repressione sempre più dura di ogni forma di opposizione con la legge sugli “agenti stranieri” e sul terrorismo. A questa azione all’interno fa da sostegno una politica estera sempre più improntata al nazionalismo panrusso (strumento usato in abbondanza per manipolare l’opinione pubblica russa). Questa azione approfitta di tutte le situazioni di crisi nei paesi limitrofi (Moldavia, Georgia e poi soprattutto Ucraina nel 2014) e con il pretesto della tutela delle minoranze russofone cerca di riconquistare, utilizzando abilmente truppe non ufficiali come la Wagner, il controllo di pezzi della vecchia URSS.

L’attacco totale all’Ucraina del 24 Febbraio 2022 doveva essere il grande salto di qualità di questa strategia in vista delle elezioni presidenziali del 2024. Il successo nel blitz su Kiev per tagliare la testa al potere democratico dell’Ucraina avrebbe dato a Putin una vittoria clamorosa: un grande paese slavo, sempre più orientato a distaccarsi dalla sfera di influenza politica ed economica russa e che seppur con fatica si muoveva in direzione di una democrazia competitiva, dunque un pericoloso esempio per la Russia putiniana e per la Bielorussia, sarebbe stato riportato nel gregge.

Questa scelta, come si vide bene dalla riunione del Consiglio Supremo di Sicurezza russo del 22 Febbraio 2022 e dalla sorpresa di molti suoi membri, Putin l’aveva decisa nella solitudine del suo ristrettissimo circolo di fedeli.

Ma come succede ai dittatori il crescente distacco dalla realtà e l’isolamento dalle voci critiche sono le premesse per errori di valutazione molto gravi. Così è stato con l’invasione dell’Ucraina, la cosiddetta “operazione militare speciale”. Invece della rapida vittoria una guerra costosissima in termini umani e materiali sia per il paese invaso che per l’invasore. Una guerra che ha largamente isolato la Russia nel mondo o la ha gettata nelle braccia di amici assai pericolosi come la Cina. E che, all’interno, ha portato il regime ad un ulteriore arroccamento antidemocratico, ma anche a tensioni negli stessi gangli del potere come la rivolta di Prigozin ha dimostrato. Come funzionerà il dopo non è facile sapere. Ma come potrà contare sulla fedeltà e la fiducia del suo entourage un leader che come Putin ha fallito la grande scommessa ucraina, che ha lasciato emergere una insurrezione militare, che in sostanza ha mostrato un livello di incompetenza così elevato? Lo spirito di autoconservazione delle elites ci suggerisce che la storia non è finita e che Mosca ci riserverà sorprese.

Maurizio Cotta