La guerra e il cibo

La guerra e il cibo

L’ondata di caldo che sta investendo il sub continente indiano rende ancora più fosco il futuro degli approvvigionamenti alimentari del mondo intero. L’India è il secondo produttore di grano al mondo e fino ad oggi si prevedeva che, per quanto riguarda il raccolto 2022-2023, si sarebbe collocato tra i primi  dieci esportatori di cereali al mondo con circa dieci milioni di tonnellate vendute all’estero.  La stagione siccitosa, però, cambia le carte in tavola. La bassa resa del raccolto, sceso ai minimi degli ultimi 13 anni, ha fatto sì che il Governo indiano decidesse di bloccare completamente le esportazioni. Inevitabile l’impennata dei prezzi a livello mondiale con un aumento immediato del costo del grano di oltre il 6%. La situazione è tale che dal prossimo G7, previsto nel mese di giugno, partirà un accorato appello all’India affinché sia revocato il divieto che rischi di avere pesanti conseguenze in varie parti del mondo che dipendono dagli approvvigionamenti assicurati, oltre che dal paese asiatico, anche da Ucraina e Russia.

La questione alimentare globale era già esplosa per le conseguenze della pandemia Covi-19 che avevano riguardato gli approvvigionamenti energetici e il costo dei trasporti. Il problema, dunque, già esisteva prima che l’invasione russa dell’Ucraina portasse a ridurre considerevolmente la semina e bloccasse le spedizioni di grano, di altri cereali e di oli vegetali dal granaio ucraino. L’invasione è stata seguita dalle sanzioni che colpiscono le esportazioni russe. Così, pandemia, guerra e questioni ambientali si sommano e si amplificano. Mutano gli equilibri tra i paesi produttori e si prefigurano gravi conseguenze soprattutto da paesi in gran parte dipendenti dal grano ucraino come è nel caso di molte aree mediterranee e del Nord Africa, a partire dall’Egitto.

Una risposta parziale può venire dall’aumento dell’esportazione da parte di altri paesi, come ad esempio il Canada, ma è evidente che le limitazioni indiane non fanno sperare niente di buono.

Gli scienziati si sono messi adesso all’opera per trovare altri prodotti alimentari che, se finora sono stati trascurati e considerati marginali, potrebbero sostituire gli alimenti di cui c’è maggiore contrazione. Siamo costretti così a rivedere tutte le politiche mondiali seguite negli ultimi decenni per rispondere alla crisi globale in cui ci siamo trovati coinvolti e a constatare i rischi connessi con una politica alimentare che ha finito per restringere a pochi prodotti il consumo mondiale.

Fino ad oggi il 90% delle calorie destinate all’umanità intera dipendono solo da 15 colture mentre le possibilità sono davvero molto più ampie. Delle oltre 7.000 piante commestibili esistenti al mondo solo 417 sono coltivate e utilizzate su larga scala per la produzione di cibo. C’è da chiedersi quale politica sarà seguita dalle autorità e dai giganti dell’economia del cibo e dell’alimentazione.

CV