Aldo Moro e gli anni di piombo – di Giuseppe Careri

Aldo Moro e gli anni di piombo – di Giuseppe Careri

Due giorni fa, una stella a 5 punte, il simbolo delle Brigate Rosse, è comparsa in uno degli ascensori della palazzina Rai di Saxa Rubra dove opera la redazione del Tg2 diretto da Gennaro Sangiuliano. Immediatamente sono scattate le indagini della polizia scientifica e della Digos. Solidarietà dell’Usugrai e del mondo politico al Direttore del Tg2 e a tutte le giornaliste e giornalisti che ogni giorno confezionano  le numerose edizioni del telegiornale.

Un altro episodio, davvero inquietante, è avvenuto durante un concerto avvenuto all’Arci di Reggio Emilia dove la band “P38 – Gang” ha suonato testi musicali inneggianti alle Brigate Rosse. Gli autori della Band si definiscono “collettivo musicale artistico insurrezionale” e agiscono in anonimato, con nomi di fantasia.

Questi due fatti hanno giustamente scatenato l’indignazione del mondo politico e dei parenti delle vittime assassinate negli anni di piombo dalle Brigate Rosse.

Dalla fine dagli anni sessanta fino a metà degli anni ottanta, l’Italia è stata funestata da un furia omicida che ha visto cadere sotto i colpi di armi da fuoco magistrati, capi di azienda, giornalisti e politici. Furono centinaia le persone ammazzate negli anni di piombo, uomini inermi uccisi dalla violenza di formazioni insurrezionali aventi l’obbiettivo di colpire il cuore dello stato. Diversi i giornalisti “gambizzati” tra i quali Indro Montanelli e il Direttore del Tg1 Emilio Rossi colpito alle gambe con 15 colpi di pistola, anche dopo che era caduto a terra. Emilio Rossi, un uomo umile e riservato, passerà il resto della sua vita claudicante.

L’attacco al cuore dello Stato delle Brigate Rosse avviene il giorno della presentazione del quarto Governo Andreotti, martedì 16 marzo 1978. Con lo stratagemma di un tamponamento alla macchina della scorta a Via Fani, il “commando militare” delle Brigate Rosse massacra cinque poliziotti servitori dello Stato a difesa di Aldo Moro allora Presidente della Democrazia Cristiana. L’uomo politico viene rapito e portato in un luogo segreto. Dal sequestro dello statista passeranno 55 giorni di ricerche, trattative segrete, controlli delle forze dell’ordine in ogni angolo del paese.

Aldo Moro, un simbolo della Democrazia Cristiana, 5 volte Presidente del Consiglio dei Ministri, guidò governi di Centro Sinistra tra il 1963 e il 1968 e il 1974/1976. Elaborò la strategia dell’attenzione verso il Partito Comunista Italiano per tentare di arrivare, infine, al compromesso storico. Aldo Moro fu promotore di tante iniziative politiche e sociali; contribuì all’allargamento della base dello stato; riuscì a far approvare la legge sulla giusta causa per licenziare; poi la storica legge sul diritto di famiglia, una rivoluzione arrivata dopo anni di tentativi falliti. Il diritto di famiglia fu approvato per regolare un rapporto paritario tra coniugi nella direzione della famiglia, sia in relazione ai rapporti personali, che patrimoniali e con i figli. Storica riforma del diritto di Famiglia, titolò la Stampa di Torino. “Le famiglie diventeranno più moderne e più libere”.

Nei 55 giorni di prigionia, le persone, i cittadini comuni, vissero momenti di paura. Sono per tutti giornate di ansia; le televisioni di tutto il mondo seguono le indagini della polizia, della guardia di finanza e di tutte le forze dell’ordine. Si cerca il covo dei brigatisti che hanno rapito il Presidente. Si fanno indagini a tutto campo, ma i giorni passano e non ci sono risultati concreti. Per la verità esiste una trattativa con i brigatisti per uno scambio di prigionieri, ma il progetto non viene perseguito. Il mondo politico è diviso, i socialisti sono per la trattativa. Assolutamente no, dicono invece Democristiani e Comunisti. Nel tentativo disperato di liberare Moro si ascoltano investigatori improvvisati, persino rabdomanti. In una seduta spiritica esce il nome di Gradoli, un paesino del viterbese. In realtà questa è una stradina interna della via Cassia dove le forze dell’ordine perquisirono alcuni appartamenti senza risultato.

Un altro motivo di contrasto tra i politici dei vari partiti sono le lettere appassionate spedite dalla prigione da Aldo Moro alla Direzione della Democrazia Cristiana e al suo amico Benigno Zaccagnini, allora Segretario della Partito. In quelle lettere Aldo Moro tenta di scuotere le coscienze dei colleghi e di tutti coloro che avevano a cuore la sua sorte e quella dell’Italia. Invano.

Alle 12,13 del 9 maggio 1978 ci fu la telefonata di un brigatista al Prof. Franco Tritto, Assistente di Aldo Moro. Questa la conversazione:

“Il Professore Franco Tritto?.. Si, chi parla?...Dovrebbe portare un’ultima ambasciata alla famiglia…. si, ma chi parla?…(sospiro) Brigate rosse!… Allora… Lei dovrà comunicare alla famiglia che troveranno il corpo dell’onorevole Aldo Moro in via Caetani…Via??? Via Caetani…è la seconda traversa a destra di via delle botteghe oscure… Va bene?… Si… Li  c’è una Renault 4 rossa”…

La Renault rossa con Aldo Moro nel bagagliaio è parcheggiata in Via Caetani, una stradina tra Piazza del Gesù, sede della Democrazia Cristiana, e Via delle Botteghe Oscure, sede del Partito Comunista Italiano. Questo fu  l’epilogo di una tragedia annunciata dal carcere dove era detenuto lo Statista.

Oggi, a 44 anni dalla tragedia di Aldo Moro e della sua scorta, rivedere lo stemma a cinque punte in un ascensore di un telegiornale, o ascoltare le note musicali dissennate di un gruppo anonimo che inneggiano alle Brigate Rosse, rappresentano veramente un oltraggio insopportabile e imperdonabile.

Giuseppe Careri