Kabul raccontata dalle immagini – di Giuseppe Careri

Kabul raccontata dalle immagini – di Giuseppe Careri

L’ultimo soldato americano abbandona l’Afghanistan. E’ il generale Chris Donahue in tenuta militare che lascia l’aeroporto di Kabul a mezzanotte. Un immagine finale di resa e di solitudine. Un minuto dopo l’aeroporto di Kabul viene immediatamente occupato dai Talebani, ormai padroni del campo. Appaiono, quasi in simultanea, le immagini dei festeggiamenti dei vincitori con manifestazioni e fuochi di artificio. E’ l’epilogo del ritiro delle forze americane ed europee che lasciano l’Afghanistan in mano ai Talebani dopo la loro conquista del paese.

A ritroso, sono le immagini drammatiche di un paese ormai rassegnato a raccontare il dolore e la rassegnazione di milioni di Afghani costretti di nuovo, dopo venti anni di relativa pace,  a convivere nel terrore con i Talebani ormai padroni del campo costato tante vittime a causa degli attentati dell’Isis-K.

Non si possono dimenticare le immagini delle due esplosioni avvenute all’aeroporto di Kabul e al Baron Hotel causate da due kamikaze che hanno provocato la morte di centinaia di persone e altrettanti di feriti. Kamikaze che si sono fatti esplodere in mezzo a migliaia di Afghani che da giorni aspettavano di poter partire con i C 130 dei militari americani e quelli degli europei. Esplosioni apparse in lontananza, come il fungo di Hiroshima che porta con se il carico di dolore e di morte che ha investito povera gente colpevole solo di conquistare un posto al sole. Persone assiepate da giorni, uomini, donne, bambini, sotto il sole infuocato, senza possibilità di un ristoro, un panino, un conforto.

L’evacuazione di militari e diplomatici italiani sui C 130 che lasciano Kabul dopo aver salvato migliaia di cooperanti afghani che in questi venti anni sono stati collaboratori preziosi per le nostre forze operative a Herat.

Il dramma americano per la morte di 13 soldati e di 15 feriti gravi nell’attentato all’aeroporto di Kabul. Il pianto di Biden nel ricordarli e nel ricordare ai terroristi che li avrebbero cercati e vendicati. Le immagini dei droni Usa, sventano un attentato, colpiscono un’auto imbottita di esplosivo diretta verso l’aeroporto di Kabul.

Al momento della partenza degli americani succede anche altro che non si era mai visto. Un anchorman della televisione afghana parla in diretta ai telespettatori. Alle sue spalle un gruppo di talebani armati di mitra con il dito sul grilletto lo costringono a rassicurare il paese a non aver paura e a cooperare con il governo Talebano. Il blitz televisivo era scattato nel pomeriggio quando un gruppo di miliziani ha parlato con il conduttore dell’emittente afghana. Fanno propaganda, vogliono accreditarsi come un governo pacifista ma i fatti li smentiscono.

Un’immagine ormai consueta, dopo la fine della missione delle forze internazionali è quella di tanti Afghani che sperano nella riapertura delle banche per prelevare il denaro per la propria sussistenza. Immagini di povera gente in fila a partire dalla notte precedente con la speranza di una riapertura che tarda ad arrivare.

C’è poi il dramma di tutti coloro che non sono riusciti a partire, sperano ancora in un corridoio che consenta loro di fuggire dalla paura e dal terrore di essere scoperti dai Talebani. Biden nell’ultima conferenza li rassicura e dice che “non ci sono scadenze per gli americani che vogliono uscire da Kabul”.

L’immagine terribile del kamikaze che si fa esplodere tra la folla all’aeroporto ne nasconde un’altra forse ancora più drammatica.

Le mamme e i papà che sollevano i corpicini dei loro bambini per affidarli ai militari inglesi e americani per essere portati in un altro paese più civile. Un dramma nel dramma. Impossibile immaginare il dolore di una madre che è costretta a privarsi del proprio figlio, con la speranza che abbia una vita migliore della sua.

E’ il costo di una resa, dopo venti anni di occupazione, forse troppo affrettata, priva di un sistema di sicurezza per uomini e donne che hanno cooperato per tanto tempo con americani, inglesi, italiani e oggi costretti a rimanere nel paese con la minaccia di essere perseguitati dai nuovi padroni dell’Afghanistan.

Nella conferenza di stanotte Biden ha detto che era ora di finire questa guerra, di continuare a mandare a Kabul, dopo venti anni, altri figli dei figli. Ma il dramma afghano non ha ancora chiuso il sipario.

Ci sarà da affrontare il problema dei profughi, di tutti coloro che sono riusciti a fuggire da Kabul che sperano in una nuova vita.

Ma già alcuni paesi, come la Grecia, hanno costruito un muro di 40 chilometri per impedire ai profughi afghani di  entrare. Altre nazioni europee, tra cui l’Italia, tentano una via comune per aiutarli, ma sarà un processo lungo che logorerà anche il nostro paese, dov’è dominante la teoria della contrapposizione tra destra e sinistra anche in materia di emigrazione.

Nell’ultima conferenza stampa Il Presidente degli Stati Uniti Biden è stato categorico: “Era ora di finire la guerra, ci sono nuove minacce”.   Il futuro ci dirà se aveva ragione.

Giuseppe Careri