L’assassinio non appartiene alla religione – di Guido Guidi

L’assassinio non appartiene alla religione – di Guido Guidi

Saman Abbas, la giovane pakistana di diciotto anni, di Novellara, in provincia di Reggio Emilia, sarebbe stata strangolata dallo zio, secondo la ricostruzione delle autorità inquirenti, perché intendeva vivere secondo le regole dell’occidente, in libertà.

L’Ucoi e le associazioni dei musulmani in Italia si sono attivate, giustamente, per specificare che l’assassinio e i matrimoni forzati non fanno parte della cultura islamica.

La vicenda agghiacciante, nella ricostruzione che ne fa il Gip del Tribunale di Reggio Emilia, merita qualche considerazione di carattere generale, al di là della tristissima cronaca.

È giusto non identificare gli atti estremi di Novellara con l’Islam, una cultura religiosa e politica che condivide, con le altre religioni, nobili motivazioni di comunitarismo e di fratellanza musulmana. Tuttavia, di fronte ai ricorrenti inviti al dialogo interreligioso, l’occidente e i cristiani non possono peccare d’ingenuità e ignorare che i presupposti teologici e ideologici, propri dell’Islam, sono molto diversi dai propri.

Il dialogo interreligioso incoraggia la progressiva espansione delle reciproche conoscenze e mette le basi per il superamento delle divisioni. Per questo va incoraggiato. Tuttavia, la comprensione delle ragioni della diversità tra le religioni, che pur esistono, deve essere piena e va estesa alla conoscenza dell’intero fenomeno che, in Occidente, coinvolge soprattutto la sfera individuale, mentre in Oriente identifica anche la comunità politica.

Quando si ragiona del fenomeno islamico si richiede la conoscenza di una pluralità di componenti, perché qui il diritto e la politica occupano uno spazio vitale. Del resto l’Islam e le sue leggi non sono solo religione ma molto di più, perché sono anche politica, diritto e Stato. Soprattutto. La religione non va intesa semplicemente come lo stato della coscienza individuale perché, accanto alle convinzioni di fede, comprende tutti gli aspetti della vita umana e deve portare non soltanto a guadagnare il regno dei cieli ma anche il successo in terra.

Per questo A. Predieri, un grande costituzionalista, poteva sostenere che «la sharî῾a è base di ogni organizzazione istituzionale, di ogni ramo di diritto, di politica, è la comunità, la patria, il mondo, la bussola nei momenti delle scelte tragiche».

Il Corano e la Sunna, pur nelle inevitabili divergenze delle correnti di pensiero, contengono allo stesso tempo elementi di natura religiosa, giuridica e politica. Per certi aspetti religione, diritto e politica sono la stessa cosa, così da trasformare l’Islam in un dovere religioso e sociale.

Il vocabolo islām esprime la «corretta e attiva sottomissione alla volontà del Dio Unico». Con il macigno di questo dogma teologico, non è facile immaginare che il dialogo tra le civiltà possa evolvere con lo stesso passo.

La democrazia liberale si propone di assicurare la garanzia dei diritti ai singoli e alle formazioni sociali, con la stessa identica intensità. Nella concezione islamica si ipotizza invece un’idea di democrazia di tipo collettivo, immaginando una comunità politica ricca di valori trascendenti, potenzialmente solidale ed egualitaria secondo la dottrina, ma diversa, perché carente di un requisito fondamentale: la garanzia delle libertà individuali.

La discriminazione di genere tra uomo e donna è una delle diversità più note. C’è anche un altro l’aspetto, forse meno conosciuto, ma non meno problematico, che separa i due mondi: la necessità di preservare la separazione delle Chiese dallo Stato.

L’Europa è passata attraverso le guerre di religione per consacrare il principio di divisione tra religione e politica. L’Enciclica di Leone XIII, Immortale Dei (1885), in conformità al detto evangelico “il mio Regno non è di questo mondo”, attesta: «Tutto ciò che nelle cose umane abbia in qualche modo a che fare col sacro, tutto ciò che riguardi la salvezza delle anime o il culto di Dio, che sia tale per sua natura o che tale appaia per il fine a cui si riferisce, tutto ciò cade sotto l’autorità e il giudizio della Chiesa: tutto il resto, che abbraccia la sfera civile e politica, è giusto che sia sottoposto all’autorità civile, poiché Gesù Cristo ha voluto che ciò che è di Cesare sia dato a Cesare e ciò che è di Dio a Dio».

Il dialogo interreligioso è utile ed auspicabile ma, senza i presupposti di libertà, rischia di essere strabico e può ingenerare incomprensioni.

Guido Guidi