Coronavirus e il caso emblematico dei bambini – di Massimo Molteni

Coronavirus e il caso emblematico dei bambini – di Massimo Molteni

Da ormai oltre due mesi le scuole sono chiuse: tranne qualche lodevole sollecitazione delle associazioni dei genitori e recentemente qualche timido tentativo da parte di professionisti che si occupano  di bambini (pedagogisti – psicologi – pediatri – neuropsichiatri infantili) sembra che questo problema ENORME non esista.

O meglio i  “grandi giornali” se ne occupano per via degli esami di maturità e di licenza: non tanto perché sono momenti molto importanti nella vita di una persona, dove sfidarsi e affrontare i primi grandi attimi di “stress sociale”, ma perché la domanda, che emerge pudicamente “sotto traccia”, è: “quale garanzia che la loro formazione formale sia valida al punto da essere certificata”? o peggio: “quale garanzia di non discriminare chi si è diplomato con  fatica negli anni scorsi”?

Al punto che anche il ministro ha dovuto  rassicurare che saranno “esami seri” anche se svolti in modalità anomala…: il valore della “attestazione formale” come garanzia sociale più importante del senso del processo e del percorso dei singoli ragazzi.

In fondo, è naturale che questa preoccupazione sia prevalente nella società,  se anche in una istituzione che è l’espressione della Misericordia – la Chiesa – tante volte prevale il formalismo, un po’ farisaico,  sulla realtà vera del cuore di ogni singolo uomo….

E comunque, chi si sta occupando dei piccoli e dei giovani più in generale?

Uno sforzo enorme è stato messo in atto da molti insegnanti e da molte scuole: magari non sempre tutto è andato per il meglio, ma l’impegno di molti professori e insegnanti è stato encomiabile.

Anche la scuola – al pari del servizio sanitario – sta affrontando, lontano dai riflettori e spesso dall’incoraggiamento sociale, una grande sfida e una grande rivoluzione, senza una preparazione preventiva e, anche in questo caso, senza adeguati  strumenti tecnologici a disposizione: a mani nude, di fronte alla emergenza!

Anche le famiglie, già provate dal lockdown, a volte da sofferenze e lutti, spesso da gravissimi problemi economici, si stanno impegnando come possono con i pochi mezzi tecnologici a disposizione per aiutare i loro figli a interagire con la loro scuola e i loro compagni, a distanza: momento di riscoperta di una vicinanza e prossimità spesso trascurata in passato, ma anche momenti di tensione e fatica, perché gli angusti spazi di una appartamento domestico si conciliano poco con la naturale esuberanza dei bambini e dei ragazzi.

Anche in questo caso, tanti sacrifici, tanti piccoli eroismi domestici, lontano dai riflettori e dal plauso sociale: a chi importa il vivere sociale di una famiglia?

Se  poi, in queste famiglie, è presente un  figlio disabile, l’eroismo è certo: 24 ore al giorno, senza aiuti, con la casa da mandare avanti, magari  con le preoccupazioni di soldi sempre più scarsi, con altri  figli, sperabilmente senza disabilità, da seguire e accudire….quanta fatica e quanta angoscia…magari nel buio di notti lunghe che non finiscono mai….Chi asciugherà le loro lacrime di fatica? Chi si accorge di questi eroismi quotidiani?

Comprensibilmente, siamo stati  tutti angosciati  dal numero dei morti che cresceva giorno dopo giorno e dal crollo economico di un sistema produttivo  obbligatoriamente bloccato.

Adesso sta per avere inizio la “fase 2” della lenta e prudente ripartenza: e comincia a riemergere anche la necessità di occuparsi dei bambini

Di nuovo: la preoccupazione non è principalmente su come fare a far recuperare spazi di incontro e di risocializzazione ai tanti bambini, specie i più piccoli, fondamentali per la loro crescita, ma su come supportare le famiglie i cui genitori devono tornare al lavoro….

E così, non sempre disponibili i “nonni”, per giustificati e comprensibili motivi, il problema di chi accudisce i figli, diventa prioritario.

«La riapertura di scuole elementari e materne è già possibile, ecco come»: lo studio del Politecnico di Milano:  è il modo per permettere il ritorno al lavoro dei genitori.

L’articolo in realtà è più complesso di quel che il titolo lascia intendere, perché la questione è molto complicata da risolvere: l’occhiello giornalistico è però espressione del comun sentire, che di nuovo tradisce la sostanziale irrilevanza dei diritti dei bambini. Sono un problema di cui occuparsi nella misura in cui la loro presenza si ripercuote su altri ambiti… specie quelli economici…

Del resto, se i bambini “infastidivano” perfino gli apostoli, chi mai può metterli al centro dell’attenzione?

La “politica nuova”  deve occuparsi dei bambini e dei loro diritti: anche se “costa” molto.

Per occuparsene in condizioni di adeguata sicurezza, è necessaria una analisi accurata e diversificata delle fasce di età, degli ambiti di residenza, dei contesti sociali.

I bambini piccoli, dalla scuole dell’infanzia fino a quelli del ciclo primario, hanno soprattutto bisogni di relazione sociale e interpersonale: stimoli cognitivi ne hanno potuti avere, salvo le situazioni sociali più fragili e problematiche sulle quali bisognerà fare un progetto ad hoc, mentre sono stati assenti, salvo eccezioni, opportunità di gioco e di scambio con altri bambini: necessari per loro come l’aria che respirano…

Se questo è il bisogno primario, come fare a renderlo possibile in condizioni di sicurezza?

Sicuramente bisogna puntare su realtà micro-aggregative il più possibile vicine a casa: e di nuovo la risposta è diversa se si tratta di agglomerati urbani significativi o piccole comunità disperse nel territorio.

Le  scuole sono un possibile punto di partenza: ma con piccoli numeri di bambini, per cercare un minimo distanziamento o almeno ridurre l’affollamento, con la supervisione di adulti che sviluppino attività di micro-gruppo alternate a momenti in cui proporre attività, anche ludiche ma più a tavolino e con un corretto distanziamento

Scontato che gli ambienti siano stati sanificati, è necessario fare in modo che questi adulti siano liberi dal coronavirus: inevitabile il triage prima di accedere ai locali sia degli adulti che dei bambini e poi mascherina per gli adulti e, quando possibile anche ai bambini, almeno quando fanno attività in prossimità.

E una indagine sierologica, anche se non dà “patenti di immunità”, può consentire una maggiore serenità nelle interazioni obbligate… Ci penserà qualcuno? C’è da dubitarne….

Non c’è dubbio che con un rapporto adulti/bambini molto basso, il numero degli operatori necessario sarà molto elevato, di gran lunga superiore a quello degli insegnanti disponibili: così come gli spazi delle sole scuole saranno insufficienti, dovendo distanziare i bambini e frazionarli in tanti micro-gruppi.

Si dovrà ricorrere a spazi alternativi: dove sono presenti centri di aggregazione, andranno recuperati quegli spazi e resi disponibili, gli spazi degli oratori possono essere un risorsa. E’ una analisi che può e deve essere fatta localmente e dare così la giusta autonomia alle tante realtà locali: i piccoli comuni, i municipi delle grandi città metropolitane, i quartieri nelle città…

Senza un coinvolgimento attivo e operoso della società civile, è impossibile ripartire con le attività per i piccoli… pazienza se all’inizio  non sarà omogeno in tutti i territori…: bisogna contare sulla mobilitazione popolare, con i tempi propri dei diversi contesti

E poi coinvolgere in maniera organica e paritetica cooperative e strutture del terzo settore che potrebbero  mettere a disposizione personale, certo non formato come quello delle scuole, ma che, con un progetto costruito assieme e supervisionato dalle realtà scolastiche, può dare risposte ai bisogni dei bambini più piccoli. Un grande affresco sociale, dove mobilitare anche gli adolescenti più grandi in attività a favore dei più piccoli: non può essere una esperienza di alternanza scuola/lavoro anche questa? Remunerata si intende, una sorta di “reddito di cittadinanza ad utilità sociale”.

Un grande problema da affrontare sarà quello dei trasporti: impossibili gli scuolabus, non è detto che le famiglie riescano tutte ad attrezzarsi…

E qui la grande sinergia deve avvenire con il mondo del lavoro: ci vuole una enorme flessibilità nei turni di lavoro per consentire a chi ha i figli di lavorare in orari che rendano possibile l’accompagnamento dei bambini in questi centri di aggregazione  e poterli andare  a riprendere in  orari compatibili con la “tenuta” psicofisica dei bambini.

Un sindacato vero dovrebbe essere il protagonista di questa flessibilità lavorativa e sociale promuovendo innanzitutto la solidarietà orizzontale tra chi lavora ( non tutti hanno i figli da accudire) e poi contrattando con determinazione, azienda per azienda, negozio per negozio, ufficio per ufficio, soluzioni di flessibilità di lavoro che consentano le attività di produzione con le nuove esigenze di conciliazione sociale  e famigliare : se non il sindacato, chi può essere mediatore tra queste istanze tutte parimenti  legittime, ma contrapposte?

Nelle realtà diffuse, l’istituto comprensivo – se capace di depurarsi dagli orpelli burocratici che ammorbano anche la sua aria – potrebbe essere il regista degli interventi, specie sul piano tecnico e educativo.

Una analoga progettazione, è necessaria anche in altre età della vita dei nostri ragazzi, con caratteristiche e modalità isomorfe alle loro naturali esigenze: anche qui, l’obiettivo non è il sapere in sé, che la tecnologia può consentire di raggiungere anche in misura più efficiente che non in classe, ma il confronto con tanti punti di vista, con diversi modi di  vedere la stessa realtà e  così imparare che la realtà non è una verità monolitica che ciascuno di noi conosce per intero, ma che solo attraverso la messa in comune di differenti punti di vista  può arrivare ad essere meglio conosciuta.

Comprendere che la verità conoscibile è solo “relativa” e che la ricapitolazione di tutte le dimensioni del reale può avvenire cambiando il piano della conoscenza, è la premessa per un vivere civile più rispettoso dell’altro, chiunque esso sia: e non è poco.

Tutto questo però costa: e non poco!

I “recovery bond” solo per  l’economia?
Perché non un piano di finanziamento  specifico (social  o scholar bond?) sostenuto dalla fiscalità generale (una sorta di 5×1000) da una quota obbligata degli utili di impresa  (in fondo, il “capitale umano” è un investimento..) e una specifica tassazione su tutte le transazioni di borsa (in fondo  chi guadagna senza produrre nulla, è giusto che paghi un po’ di più…)

I bambini hanno dei diritti in sé: a prescindere che siano il nostro futuro (e su cui vale la pena investire bene).

Sono ben altro che un problema organizzativo contingente per consentire agli adulti di andare a lavorare…

Ma….Non avverrà nulla di tutto ciò: ecco perché il coronavirus non ci sta insegnando nulla…

E tutto tornerà come prima: anzi no, peggio di prima: perderemo anche un po’ di libertà individuale…

In nome del coranavirus….

Massimo Molteni