Il Pd, partito “radicale di massa”, e quelli che ancora aspettano …. Godot

Il Pd, partito “radicale di massa”, e quelli che ancora aspettano …. Godot

Stefano Zamagni è intervenuto con un’intervista su “Il Resto del Carlino” dopo la nuova composizione della Giunta regionale dell’Emilia e Romagna, sottolineando l’esclusione dal governo locale di ogni espressione del mondo cattolico.

Il ragionamento di Zamagni fa riferimento alle precedenti e ripetute dichiarazioni di apertura da parte del principale partito del centrosinistra alla società civile e ai movimenti.

Quello emiliano non è poca cosa all’interno del Pd nazionale. Anzi, qualcuno sostiene che là si trovi la “ditta”, per dirla alla Bersani. Così, dobbiamo prendere per buono il fatto che anche la definizione della Giunta di Bonaccini confermi quanto già aveva fatto ampiamente capire Nicola Zingaretti, sin dal primo giorno della sua nomina a segretario nazionale, dichiarandosi favorevole all’eutanasia ( CLICCA QUI  ). Insomma, la presenza e le sensibilità dei cattolici non sono tenute in molta considerazione e si preferisce continuare a seguire la deriva da partito “radicale di massa”.

E’ come se Zingaretti considerasse definitivamente l’elettorato cattolico perso dietro Matteo Salvini o liquefatto nell’astensionismo.

Questo è un errore. Intanto, perché sembra esserci una certa relazione tra la crisi profonda del centrosinistra e il progressivo aumento del numero di chi non partecipa più al voto. Dicono gli esperti che una buona parte dell’astensionismo è fatta di cattolici, più o meno praticanti, e di un ceto medio sempre meno rappresentato.

Anche per questo si sta ponendo persino il problema della stessa sopravvivenza del principale partito del centrosinistra, sceso oramai in tutte le regioni, Emilia esclusa, attorno al 15 – 18% dei votanti.

I grandi partiti popolari di massa erano caratterizzati dall’ascolto e dall’attenzione non solo dei propri adepti e sostenitori. Si facevano carico della complessità delle necessità nazionali e dell’intera dimensione sociale, pur ciascuno proponendo proprie visioni. Altrimenti non si spiega perché siano durati dal 1944 al 1994.

Una cattiva applicazione italiana del bipolarismo a che cosa ci ha portato? Alla radicalizzazione delle posizioni, alla creazione di sempre più alti steccati quando, invece, questioni internazionali ed interne richiedevano, e richiedono, un modo diverso di concepire e praticare la politica. Le divaricazioni portate sempre alle estreme conseguenze fanno trovare oggi il Paese fortemente debilitato e marginalizzato.

Questo spiega perché in molti si siano messi alla ricerca di un “centro”. Spesso, solo a parole, ma si dicono alla ricerca e ne prendiamo atto. In effetti, non tutti hanno la volontà di convergere lungo un percorso nuovo giacché, per tanti motivi, non tutti altruistici, manca il coraggio necessario all’abbandono di posizioni radicate.

La costruzione di questo  “centro” richiederebbe la pratica dell’inclusione, il mostrare disponibilità alla mediazione, il preoccuparsi di ricercare il collegamento con quelle solide “nervature” attorno cui si sviluppa la crescita di un intero popolo.

Lavorare per il “nuovo” significa davvero mettersi nella direzione contraria a quella seguita sia da Salvini, sia dal Pd.

Il primo, perché ha scelto di giocarsi la carta dell’estrema destra. Divisiva e dalle parole d’ordine irrealistiche giacché oggi è necessario porsi realmente in sintonia con le esigenze strutturali dell’economia italiana, a partire da quella del Nord, che ha bisogno di stare in Europa e nell’Occidente  e di puntare su di una sana coesione nazionale.

Il centrosinistra preferisce prendere la via più facile della solleticazione dei diritti individuali fino al punto di perdere di vista quelli più generali e, diciamolo pure, più sostanziali per ciò che riguarda l’intera comunità italiana.

E’ dai tempi del primo Governo Prodi che le questioni dei Dico, delle coppie omosessuali, degli Lgbt, sembrano dominare  in via esclusiva i pensieri del Pd e del mondo esso circostante. Contemporaneamente, è stata dimostrata l’incapacità di incidere sull’apparato pubblico, sulle dinamiche del lavoro e dell’occupazione e della trasformazione delle imprese.

Così, con l’arrivo di Renzi è arrivato il corto circuito. Le questioni destinate a sostanziare la fisionomia e i contenuti  del centrosinistra hanno finito per provocare, invece, spaccature e scissioni. La conferma che, mentre si privilegiava l’impronta individualistica propria del radicalismo, si finiva per determinare l’allontanamento del mondo del lavoro e dei componenti di quelle stratificazioni sociali storicamente collocati in un’area di centrosinistra. Lavoratori dipendenti, quadri intermedi, professionisti, partite Iva hanno finito per votare a destra.

Prendo l’esempio della legge cosiddetta Cirinnà. Ha fatto si che, stando ai dati Istat, nel 2018 fossero costituite 2.808 unioni civili, a fronte della celebrazione di 195.778 matrimoni tra eterosessuali, circa 4.500 in più rispetto all’anno precedente (+2,3%) ( CLICCA QUI ).

E’ possibile ritenere che i 5.600  sposi dello stesso sesso coinvolti siano grati al Pd. Recenti risultati elettorali, però, possono portarci facilmente a pensare che i quasi 400 mila altri sposi e altre spose guardino più alla mancanza di un’adeguata legislazione sulla casa, aspettino interventi risolutori sulle banche in materia di mutuo e di rispetto dei consumatori, chiedano più asili nido per i pargoletti che sperano di poter avere, che i trasporti diventino più efficienti e recuperare così tempo utile alla vita, che i loro figli possano evitare nel futuro le tante forme di nuove schiavitù cui è sottoposta quella minoranza di giovani in grado di trovare un lavoro. Magari, molte di quelle spose aspettano dei provvedimenti che consentano loro di ricevere gli stessi salari ed avere lo stesse opportunità dei maschi sui luoghi di lavoro. Ecco, da un partito di centrosinistra forse in molti attendevano altro rispetto a quello che è stato e viene fatto dal Pd.

Questo spiega le continue sconfitte registrate dal centrosinistra nel frattempo e, probabilmente, perché il prossimo maggio si finirà per consegnare altre regioni alla destra.

Dunque, come esistono importanti motivi che rendono impossibile una nostra collaborazione con Salvini, altri ce ne sono per ciò che riguarda il Pd.

E’ un discorso che penso debba riguardare gli amici che ancora aspettano Godot, che siano dentro o sull’uscio del Partito democratico. C’è difficoltà a comprendere su quale base possano farsi convinti che quel partito sia ancora in grado di avviare la rigenerazione di cui ha bisogno il Paese.

Non riesco allora a capire perché ancora si indugi nel prendere atto di cose tanto evidenti e a riconoscere come un’intera esperienza sia terminata. Il Paese si trova in una fase del tutto diversa, al punto da richiedere l’abbandono di mentalità e pratiche oramai superate.

L’alternativa è quella della partecipazione alla creazione di un “nuovo” soggetto politico sulla base del sereno riconoscimento che non vi è più alcuna ragione per continuare a delegare al solo Pd la cura di politiche sociali ed ambientali, così come è venuto il momento di togliere a Matteo Salvini il monopolio delle questioni eticamente sensibili le quali, in realtà, tutti coinvolgono.

Giancarlo Infante

Pubblicato su www.politicainsieme.com