Imparare da un etiope – di Vera Negri Zamagni

Imparare da un etiope – di Vera Negri Zamagni

Sì, c’è molto da imparare da un etiope, Ably Ahmed Ali. Non si tratta certo di un etiope qualunque, ma di uno che in un contesto frammentato e diviso da etnie, religioni, tradizioni, fazioni politiche ha testimoniato con tutta la sua vita – e non solo da quando nel 2018 è diventato primo ministro del suo paese – che l’unico strumento per migliorare è gettare ponti, trovare soluzioni condivise.

Ora che gli è stato riconosciuto il Premio Nobel per la pace 2019, alcune delle sue convinzioni e linee d’azione sono state rese pubbliche anche da giornali che normalmente non avrebbero dedicato a tale personaggio nemmeno un rigo.

Prima di fare qualche commento, riportiamo un passaggio dal suo discorso d’insediamento come primo ministro (aprile 2018): “n ogni paese, in ogni contesto, è inevitabile che ci siano differenze di opinione. Ma queste differenze non sono una maledizione. Se siamo disposti ad ascoltare le opinioni degli altri in un dialogo di principi condivisi, le nostre differenze si rivelano una ricchezza, una benedizione. E’ nella battaglia delle idee che si forgiano le soluzioni ai problemi. La forza è nella cooperazione. Insieme, diventiamo più forti. Non c’è problema che non si possa risolvere restando uniti. L’atteggiamento di chi dice: preferisco morire piuttosto che vedere la sconfitta delle mie idee, finisce per distruggere le famiglie, figuriamoci i paesi”.

Il primo commento è immediato: quando Ably parla di differenze facendo riferimento al suo paese, parla di differenze che hanno scatenato e continuano a scatenare guerre, rivoluzioni, attentati, pulizia etnica, persecuzioni. Eppure, egli ha avuto il coraggio di non considerare tutto ciò inevitabile e di porre in essere azioni concrete per superare queste differenze, ottenendo importanti risultati, che ora gli sono stati riconosciuti.

E’ ovvio che non tutti i conflitti in Etiopia sono risolti e non tutte le decisioni sono perfette. Ma sono sempre del parere che chi fa può sbagliare, ma è assai più da criticare chi non fa. Viene subito alla mente la nostra situazione italiana, dove differenze di molto minore portata sono ritenute invalicabili e troppi sono quelli che sprecano il loro tempo in distinguo, se non altro lessicali, per rimarcare le differenze, invece di superarle. Non si può non pensare ai polli di Renzo che si beccavano mentre erano portati a morire!

Il secondo commento riguarda il richiamo di Ably alla cooperazione e all’unità. Più sotto nel suo discorso, egli parla di democrazia e non è un caso che il richiamo alla cooperazione sia strettamente collegato alla democrazia. Infatti, una democrazia profondamente conflittuale, come quella che stiamo vivendo in questo periodo nel nostro mondo “occidentale” non potrà funzionare: distruggere ciò che un governo ha precedentemente fatto (a meno che non sia un’evidente forzatura della Costituzione), insultare e demonizzare l’avversario e persino il componente di una medesima coalizione, identificare degli obiettivi di breve periodo da far approvare a tappe forzate dal parlamento per poter rivendicare un “successo” politico sono tutti dei “vulnus” alla democrazia che si pagano cari. I veri problemi, che richiedono progetti di lungo periodo, non vengono risolti e si scade in una democrazia delle tasse e della spesa, incapace di affrontare le sfide.

Infine, l’ultimo commento nasce dal richiamo al fatto che è “la battaglia delle idee” che permette di risolvere i problemi. Ably ha dimostrato di credere in questo, continuando, mentre si occupava di amministrazione e di politica, a coltivare il pensiero e arrivando persino a conseguire un dottorato proprio sugli strumenti di “peace keeping”. Anche in questo caso, quale distanza abissale dal nostro mondo politico attuale, che ha orrore dello studio, del pensiero e della discussione e nemmeno pensa a valorizzare le tante riserve di scienza, cultura, saggezza che si trovano nella società civile.

I molti problemi gravissimi che l’Italia sta affrontando non meriterebbero forse che ciascun ministero instaurasse una task force con componenti scelti fra i migliori studiosi della questione (al di là degli steccati politici) per formulare proposte di soluzione? Non sarebbe questo certo un vulnus ai nostri rappresentanti, cui sempre spetterebbero le decisioni, ma queste decisioni potrebbero avvalersi di conoscenze meglio organizzate. E’ possibile pensare che nel mondo complesso in cui stiamo vivendo un ministro e qualche burocrate del suo staff siano sufficienti a formulare progetti adeguati? Certo, fin che la discussione riguarda soltanto quale spesa aggiuntiva fare, quali tasse e quali tagli, bastano i politici che si azzuffano per tirare dalla loro parte una coperta corta. Ma come fare per rendere meno corta la coperta non è una questione altrettanto facile.

Imparare da un etiope, ma anche da un asiatico. Da troppi secoli siamo abituati a pensare che la civiltà europea è superiore e nessuno può negare la “grande divergenza”, che ha fatto avanzare l’Occidente mentre altre aree del mondo erano ferme. Ma quello che di buono si è sviluppato in Occidente ha fatto scuola e, si sa, gli allievi possono essere migliori dei maestri, perché, sedendosi sulle spalle dei giganti, possono vedere più lontano, come Newton diceva riferendosi a Galileo. Il grave rischio per l’Europa è che siano gli Ably a sedersi sulle spalle dei giganti europei, mentre gli eredi degli europei, non sedendosi sulle spalle di nessuno, diventino dei nani.

Vera Negri Zamagni