Bene comune e risorse pubbliche: immorali le buonuscite personalizzate

Bene comune e risorse pubbliche: immorali le buonuscite personalizzate

E’ stata data notizia, dai mezzi di informazione, della faraonica buonuscita, pari a tredici milioni di euro, con la quale è stato gratificato nei giorni scorsi l’amministratore delegato di Atlantia, cui fa capo la società Autostrade, a conclusione del suo mandato. Sviluppi, soprattutto, della tragedia del Ponte Morandi: sviluppi che impongono al paese ed alla coscienza collettiva una riflessione di carattere più generale.

Nella nostra concezione dell’impresa, che è quella derivata dalla dottrina sociale della Chiesa e dai tanti splendidi esempi di economia comunitaria passati e presenti in Italia e nel mondo, i rapporti di lavoro,  tutti senza eccezione, tanto nel settore pubblico quanto in quello privato, devono essere regolati dal rigoroso principio della partecipazione ai risultati ed alle responsabilità gestionali, e della proporzionalità equa fra tutti, assolutamente tutti, i livelli di responsabilità, decisionali od operativi che siano.

L’abnorme ammontare della “buonuscita Castellucci”, triste commento tacito alla immorale concezione della vita e delle responsabilità pubbliche anche davanti alle tragedie od ai fallimenti strategici, costituisce applicazione diffusa di un istituto che in realtà è da considerare appunto moralmente abusivo e corrotto, ma nello stesso tempo costantemente utilizzato per i sedicenti “grandi manager”, pubblici o privati che siano. Anche Ferrovie dello Stato, Alitalia, Banche ed altre numerose aziende lo hanno adottato per i loro vertici in uscita, in lunghi anni di autentica aberrazione culturale e  politica.

La conferma che, tanto per le imprese pubbliche quanto per quella private, tutti i rapporti di lavoro, dall’inquadramento più basso dell’operaio fino al massimo vertice dell’amministratore delegato e del consiglio di amministrazione, debbono essere regolati da tre elementi:

  1. uno stipendio tabellare, cui va aggiunta la quota di partecipazione ai risultati di fine anno;
  2. una parametrazione tabellare unica e comprensiva fra tali trattamenti, superando definitivamente la obsoleta, inefficiente e corrotta distinzione fra contrattazione collettiva per i dipendenti, contrattazione collettiva per i dirigenti, contrattazione personalizzata per i vertici;
  3. una pubblicizzazione e trasparenza assolute di entrambi gli elementi di cui sopra.

Si può del resto oggettivamente rilevare, fra l’altro, come le capacità professionali e manageriali evidenziate dai vertici citati, e in generale dai vertici di governo aziendali, siano pressoché sempre, alla prova dei fatti e dei risultati, largamente, e a volte pesantemente, non solo di non luminosa brillantezza ma addirittura inferiori sia alle attese specifiche sia agli ordinari livelli che caratterizzano le prestazioni delle professionalità aziendali mediamente qualificate e diligenti: si tratta di un pesante tributo pagato soprattutto alle condannabilissime logiche politico-partitiche cui fanno riferimento con patologica frequenza le nomine dei vertici.

Per riscontro, e paradossalmente, è doveroso rilevare che quando la storia ha regalato al nostro paese grandissimi capitani d’industria o dirigenti di Stato, distintisi anche a livello mondiale per il loro esemplare operato, da Mattei a Olivetti a Guido Carli a Menichella a tanti esponenti di aziende pubbliche e private lungo i decenni trascorsi, proprio da tali personaggi è venuto un esempio ben più elevato di automoderazione e di coerenza condivisiva guidata da cultura del bene comune, anche in termini di emolumenti, sia all’interno delle imprese stesse sia rispetto al quadro generale dell’economia nazionale.

Tale è appunto, senza mezzi termini, la democrazia economica di anima comunitaria che noi sosteniamo.

Giuseppe Ecca

Pubblicato da Democrazia Comunitaria