Giorgia e … solo Giorgia
La Meloni non se li fila: né Biden né il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Diciamo la verità: se lo può permettere. Il suo autocompiacimento è al “top” e lo dà a vedere. Del resto, i rapporti internazionali – la cosa che, va riconosciuto, le riesce meglio – la compensano delle frustrazioni che comincia a patire in patria.
E’ dura lavorare dodici ore al giorno per tenere insieme il mondo da un contatto bilaterale all’altro e, finalmente, tirare le fila della guerra allo scafista in tutto l’orbe terracqueo. Eppure, ci sarebbe piaciuto sentirle dire che semplicemente ha preferito stare in compagnia della sua bambina. Sia detto sinceramente, senza nessuna ironia: non avremmo potuto darle torto.
Ad ogni modo, sembra che la nostra Presidente del Consiglio stia diventando un caso esemplare, forse unico, di “culto della personalità” prodotto in proprio ed autogestito. Poi ovviamente enfatizzato ad arte da una vasta gamma di vassalli, valvassori e valvassini. Quelli della prima ora, si può capire, ma soprattutto quelli che – da noi ce n’è sempre d’avanzo – temono di essersi inchinati fuori tempo massimo e, dunque, devono mostrarsi ancor più zelanti.
Sostiene, nel libro-intervista recentemente pubblicato, che come ce l’ha fatta lei, ce la possono fare anche gli altri. E’ un giusto incitamento, ma fors’anche un larvato rimprovero a chi resta indietro.
Insomma, basta mettercela tutta. Ed è vero. Fino ad un certo punto. Ad ogni modo, sono tanti gli italiani che, pur partendo da umili condizioni sociali, hanno scalato l’ eccellenza e raggiunto primati in ogni campo, anche a livello internazionale. Altrimenti come saremmo un Paese di poeti e di artisti, di santi e di eroi, di scienziati e di navigatori?
E di “trasmigratori”, guarda caso… Ma pochi, neppure tanti Premi Nobel si sono montati la testa e l’ hanno messa giù talmente dura.
L’ umiltà è ancora una virtù. La supponenza no. Del resto – lo sosteneva anche Cossiga – la qualità di cui un politico non può fare a meno è l’ autoironia, la capacità di fare seriamente il proprio dovere, ma, nel contempo – si potrebbe dire – senza prendersi troppo sul serio. E senza farlo pesare sugli altri. In altri termini, la capacità di guardare a sé stessi con il beneficio d’inventario, con quel pò di sereno distacco che permette di non incespicare nel proprio “io”.
Senza assumere la stucchevole posa di figura esemplare che si compiace di sé e si erge ad “icona”.