Il “centro” perduto – di Domenico Galbiati

Il “centro” perduto – di Domenico Galbiati

Gli italiani non dormono sonni tranquilli e neppure sotto l’ombrellone trovano l’attesa serenità Li rode il dubbio che Renzi e Calenda facciano o meno pace. Se creino o meno – meglio da soli, oppure con frange di Forza Italia ed altri “malpancisti” che abbiano militato sotto qualunque bandiera? – il primo aggregato del perduto “Centro”.

A qualcuno piace caldo, altri, come il jazz, lo preferiscono “cool”. C’è chi lo vuole cotto e chi lo vuole crudo. Com’è giusto che sia, ognuno dice la sua, in una cacofonica babele di linguaggi che lascia ben sperare i due poli, che, come sempre concordemente, tengono il banco di un sistema politico sfatto. Il quale all’ apparenza regge, ma solo grazie alla reciproca “conventio ad includendum” che destra e sinistra – e’ utile ribadirlo: concordemente – difendono a spada tratta, incuranti del fatto che gli italiani ne abbiano le tasche piene ed, in misura sempre più larga, soffrano il certificato elettorale, come fosse la “cartolina precetto” con la quale un potere alieno pretenderebbe di arruolarli per una guerra che non è più la loro.

Senonché, in vista dell’appuntamento elettorale europeo, l’Italia non ha bisogno che un commensale in più si “attovagli” di squincio, alla tavola imbandita dell’attuale sistema politico. Il nostro Paese ha bisogno d’altro. Ha bisogno di coltivare un’ambizione che sia degna dei momenti più alti della sua storia.

Come su queste pagine è stato più volte ribadito, c’è bisogno di una trasformazione profonda del suo assetto politico sistemico. Ha bisogno di una rinascita ideale, morale, civile il cui “incipit” non può essere dato se non da una sorta di “chiamata alle armi” per una rinnovata responsabilità di cui ogni italiano si faccia carico “personalmente”, così da riaccendere quella passione “politica” che al nostro Paese non è mai mancata e purtroppo è stata soffocata e spenta da una artefatta “seconda repubblica”. La “voglia matta” di metterci mano in prima persona, privilegiando, con il proprio voto libero, la cultura e la proposta politica preferita da ciascuno, anziché conferire il proprio consenso agli imperscrutabili rapporti interni di aggregati elettorali plurali ed informi. I quali, tra le pieghe della loro perenne e pregiudiziale contrapposizione e, nel contempo, costantemente scossi, dall’ una e dall’ altra parte, da una reciproca ed ostile diffidenza tra le loro stesse e rispettive componenti, nascondono e compromettono quell’ impossibile ricerca dell’ interesse generale del Paese, accessibile solo ad un sistema politico libero ed aperto, piuttosto che rattrappito su di sé.

Così come si configura ad oggi, questo supposto “centro” non nascerebbe se, con tutto il rispetto che merita il Parlamento Europeo, avesse come unico obiettivo quello d’agguantare qualche seggio nell’emiciclo di Strasburgo.
Non nascerà perché non ha visione di lungo periodo, non ha ambizione, non ha cultura e non è, quindi, in grado di esprimere una “politica” che vada appena oltre qualche furbizia tattica ed assuma, al contrario, un respiro strategico.
Cosi, almeno ad oggi, stanno le cose. Il resto son chiacchiere.

Domenico Galbiati