C’è morte in mare … e morte in mare – di Carlo Parenti

C’è morte in mare … e morte in mare – di Carlo Parenti

La locuzione avere/tenere/usare due pesi e due misure significa ‘usare criteri diversi per valutare situazioni simili, valutare ingiustamente’, ma anche gestire e comunicare diversamente in merito

Purtroppo, così è stato per tre drammatici naufragi occorsi recentissimamente.

Il primo: Un’imbarcazione partita dalla Turchia sovraccarica, con a bordo circa 180 persone per le più di origine iraniana, afghana e pakistana, si infrangeva su una secca a 150 metri dalla spiaggia di Steccato di Cutro, a pochi chilometri da Crotone, in Calabria. Al 16 aprile il bilancio era di 94 morti accertati, oltre a un numero imprecisato di dispersi.

“La vicenda di di Cutro si iscrive nel filone delle tragedie che, per numero di vittime coinvolte o per l’immediata prossimità geografica dalle coste italiane, a cui si sono verificate, sono state oggetto di iper-rappresentazione mediatica e visibilità, spesso funzionale a forme di strumentalizzazione politica. In alcune narrazioni mainstream della tragedia e nelle commemorazioni di stato, diversi attori – istituzionali e non – hanno cercato di mascherare e nascondere le proprie responsabilità nella morte delle persone. A fronte di una strage causata delle politiche di gestione dei confini, e delle decisioni istituzionali di non intervenire dinanzi a un’imbarcazione in pericolo, si è cercato vergognosamente di attribuirne la responsabilità alle stesse persone in fuga, ai “genitori inadeguati” che mettono i loro figli a bordo di quelle imbarcazioni, a chi le conduce mettendo a rischio la propria stessa vita”.             (CLICCA QUI)

Il secondo: l’ennesimo disastro del mare, avvenuto il 14 giugno, a largo di Pylos, nel sud del Peloponneso – Grecia- senza cifre definitive riguardo ai morti (si parla di 700 corpi dispersi in mare), delle quali soltanto 78 sono i corpi recuperati. E anche una vera e propria strage di bambini. Ce n’erano almeno 100 chiusi nella stiva.

Si può oggi già dire che la guardia costiera greca poteva evitare il naufragio di migranti a Pylos. Stesso film di Cutro. È l’accusa, tanto pesante quanto circostanziata, lanciata da una inchiesta della Bbc che ha analizzato tutti gli spostamenti dell’imbarcazione, con circa 750 migranti a bordo, nelle ore precedenti al naufragio.

Secondo la Bbc, il peschereccio sovraffollato non si è mosso per almeno sette ore prima di capovolgersi. Una tesi che si scontra con quanto sostenuto dalla guardia costiera greca, la cui versione ufficiale è che in quelle ore l’imbarcazione era in rotta verso l’Italia e non aveva mai fatto richiesta di soccorsi. Una versione non condivisa dalle Nazioni Unite.

Nel mare Egeo, peraltro, la guardia costiera greca – con la complicità di Frontex – effettua da anni pushback verso le coste turche. Secondo l’ONG Aegean Boat Report, dal 1 gennaio 2017 al 20 giugno 2023 sarebbero 60.486 le persone respinte illegalmente in Turchia, persino dopo il loro sbarco sulle isole greche, come documentato di recente da un’inchiesta del “New York Times”.

Quello che mi sconcerta è che i media hanno presto silenziato la vicenda di Pylos. E si continua a dire: non dovrebbero partire. Come se guerre, fame, violenze politiche fossero una colpa dei migranti.

Nel Mediterraneo, nel tempo, almeno il 50% dei migranti proviene dalla Libia. Dove attori statali e non statali sottopongono i migranti a una serie di violazioni dei diritti umani e abusi, tra cui uccisioni illegali, torture e altri maltrattamenti, stupro e altre violenze sessuali, detenzione arbitraria a tempo indefinito in condizioni crudeli e inumane e lavoro forzato.

Nonostante i continui e ben documentati raccapriccianti abusi perpetrati nell’impunità per oltre un decennio, stati e istituzioni europee continuano a fornire supporto materiale e perseguire politiche migratorie che permettono ai guardacoste libici di intercettare uomini, donne e bambini che cercano di scappare alla ricerca di salvezza attraversando il mar Mediterraneo, e ne consentono il ritorno forzato in Libia, dove affrontano ulteriori cicli di violazioni dei diritti umani.

Bruxelles e Londra in generale continuano a strappare accordi in Nord Africa e Medio Oriente, spendendo miliardi di euro, con autocrati e populisti che usano la leva delle migrazioni per accreditarsi sulla scena internazionale.

Il terzo naufragio, sul finire di giugno, non meno drammatico. ha causato la morte di 5 persone. ha avuto una rilevanza comunicativa mondiale, continua e presente su tutti i media.

Si è trattato di un mini-sottomarino disperso, il Titan di OceanGate che portava a, 3.800 metri di profondità,  passeggeri fino al relitto del Titanic, a 640 chilometri di distanza dall’isola canadese di Terranova, nel nord dell’Atlantico. Vi è stata una frenetica corsa contro il tempo per trovare il sommergibile con a bordo cinque persone, tra le quali il miliardario britannico Hamish Harding e lo stesso fondatore di OceanGate. Quattro i paganti. Costo del biglietto 250.000 dollari a persona.

Inoltre, si è assistito a enormi e costosi tentativi di salvataggio con l’uso di aerei, satelliti, navi, sottomarini, robot . Quattro giorni di ricerche per tentare di salvare gli occupanti. Il costo stimato solo per tali giorni è di 6,5 milioni di dollari. Poi i costi per il recupero dei resti.

Tutto doppiamente Inutile!  perché si è poi appreso che gli americani sapevano dal momento della scomparsa che il sommergibile era imploso qualche ora dopo l’inizio della missione, ma hanno tenuto ipocritamente in mondo col fiato sospeso. La US Navy si era messa in ascolto, non appena il mini sommergibile aveva perso i contatti radio, tramite un sistema di sorveglianza top secret. Avrebbero potuto dirlo subito, evitando l’ansia dei familiari delle vittime e l’inutile attenzione del mondo.

Il noto attore Richard Gere ha commentato la vicenda del Titan, paragonandola con la tragedia dei migranti in Grecia di pochi giorni prima: “Quando ho sentito dai media dell’orribile evento che ha visto quattrocento persone perdere la vita in Grecia su una barca in Mediterraneo, e la diversa attenzione con cui tutti si concentravano sulle cinque persone [miliardarie] disperse in un sottomarino nei mari del Titanic, ho capito ancora una volta quanto sia cinico il mondo “.

Conclusione:

Le morti quotidiane di un limitato numero di disperati passano inosservate, perché ormai ritenute normalità. Per parlarne devono rappresentare un record numerico. Comunque, se ne parla sempre meno e si forniscono aiuti sperequati a favore dei ricchi.

Partendo dal presupposto che la morte dei ricchi è tragica quanto quella dei poveri, non si deve distinguere, ma nei fatti i poveri ricevono meno attenzioni mediatiche e assistenza. È inaccettabile che si sia parlato in proporzione, negli stessi giorni, più del dramma dei ricchi turisti subacquei, che di quello di tantissimi poveri fuggitivi da guerre, di perseguitati, di affamati.

Consiglio a chi vuole provare emozioni forti nel vedere relitti navali -in questo nostro mondo di guerre e di immense diseguaglianze economiche crescenti- di andare a Pozzallo o a Lampedusa o in isole greche per vedere i relitti delle barchette di poveri relitti umani, rifiutati dagli stati (altro che fratelli tutti e buoni samaritani). È poi molto meno costoso. E inorridisco pensando, ad esempio, che si tagli sempre più la spesa per la sanità pubblica in questa nostra inaccogliente Europa. Che però trova subito nel 2022, per le spese in armamenti, ulteriori 345 miliardi di euro, record dalla guerra fredda, con un incremento del 30 per cento.  Di cosa meravigliarsi? L’EU ha dichiarato i propri valori quando ha rifiutato di riconoscere le proprie origini ebraico cristiane.

Carlo Parenti