La violenza di uno schiaffo, una danza d’amore, la luce della libertà – di Giuseppe Careri

La violenza di uno schiaffo, una danza d’amore, la luce della libertà – di Giuseppe Careri

Il filo conduttore del film d’esordio alla regia di Paola Cortellesi, “C’è Ancora domani”, si rivela sin dalla prima sequenza. Delia, la moglie del protagonista interpretata da lei stessa, la mattina si sveglia tardi accanto al marito già sveglio. L’uomo, Valerio Mastandrea, invece del buongiorno, le dà un violento schiaffone perché sua moglie è in ritardo per preparare la colazione a lui e ai suoi tre figli.

Il film della Cortellesi è girato in bianco e nero in stile neorealista, ed è ambientato alla fine della seconda guerra mondiale dove i diritti civili e le libertà delle donne italiane erano ancora un sogno di là da venire.

Una splendida colonna sonora di musiche antiche e moderne accompagna i protagonisti per tutta la durata del film, con momenti di pura poesia rappresentata dagli sguardi profondi degli attori, dai silenzi e dalle emozioni dei protagonisti. Il ruolo della donna di allora è concentrato soprattutto sui doveri coniugali, le faccende di casa e quelle di madre che deve accudire i figli. E’ anche la storia di una donna costretta a fare dei lavoretti per aiutare la famiglia che vive in un seminterrato; fa i rammendi della biancheria femminile per una merceria, lava e stende le lenzuola per i “signori”, fa le punture, ripara gli ombrelli di un “imprenditore” che la paga meno del ragazzo cui lei insegna il mestiere. E quando lei si ribella perché il ragazzo guadagna più di lei, il “Commendatore” risponde con sufficienza: “ma certo, lui è un uomo!”

In casa il marito ha ben chiaro come gestire l’ambito familiare tramandato da padre in figlio da secoli: le donne non devono studiare, ma andare a lavorare e portare i soldi a casa. I ragazzi, invece, devono andare a scuola per imparare tutto quello necessario magari per affrontare un domani migliore. Ma l’aspetto violento dell’uomo, la sua prevaricazione sulla moglie in quanto donna, è ancora più inquietante. E’ una storia familiare fatta di soprusi, sguardi, silenzi e anche atmosfere romantiche sottolineate da musiche dolcissime e strazianti.

L’ambientazione del film è quella dei quartieri popolari, con casermoni, lenzuola alle finestre, panchine dove siedono le donne a scambiarsi i pettegolezzi del quartiere sulle famiglie, oppure rivelando i loro segreti.

Al degrado morale e materiale della famiglia si aggiunge il suocero di Delia, finto invalido, che sprona il figlio Ivano: tu non devi menare tua moglie tutti i giorni, perché lei poi si abitua; La devi menare forte solo una volta! e poi lei non deve rispondere! Deve stare zitta!!!  Delia, la protagonista, subisce senza mai reagire alle violenze del marito e del suocero. Siamo alla fine della guerra. Un anno dopo il 25 luglio. Per le strade si vedono ancora delle camionette e dei soldati americani che vigilano nel quartiere popolare di Roma. Sono qui per aiutare gli italiani, magari regalando loro una cioccolata per i piccoli e le sigarette per gli uomini.

In questa atmosfera del dopo guerra, con la fame in quasi tutte le famiglie, Delia comincia a svegliarsi dal torpore e dalla sua condizione di moglie umiliata e oppressa, grazie anche alla figlia che la sollecita a reagire a tanta violenza disumana. L’occasione si presenta quando la giovane ragazza si fidanza con il figlio di una famiglia diventata ricca grazie alla borsa nera e allo strozzinaggio. Un lampo illumina Delia, vede la condizione futura della figlia come la sua e decide di intervenire a modo suo per impedirne il matrimonio.

Dopo le continue sollecitazioni della figlia a ribellarsi, Delia decide finalmente di alzare la testa. Mette da parte un bel gruzzolo, frutto dei suoi numerosi lavori, che servirà alla figlia per permettersi un domani il “lusso” di andare a scuola e frequentare un altro mondo che ancora non ha conosciuto.

Forte di questo risveglio, Delia decide di cambiare vita. Il film ha un finale sorprendente, inaspettato, bellissimo, sottolineato dal coro a bocca chiusa che lei interpreta con il suo volto umano e nello stesso tempo straziante.

Il film ha la magia di rendere reali le immagini dell’epoca raccontate dalle nostre nonne e dalle nostre madri quasi un secolo fa. Scrive Annalena Benini sul Foglio:

Ci vuole un po’ di vera gratitudine verso le donne che hanno fatto tutta la fatica, che giorno dopo giorno hanno cambiato le cose e che non hanno nemmeno un nome, un ritratto, una lapide, perché non hanno avuto la parola”.

Infatti, ci vorrà ancora “un altro domani” per sanare secoli di ingiustizie sulle donne, in un mondo dominato dagli uomini, dove i diritti civili sulle donne sono ancora lontani di là da venire, per ricominciare a fare una danza d’amore con il proprio uomo e fare  ritornare così la luce della libertà.

Giuseppe Careri