La Meloni e il gioco delle parti – di Domenico Galbiati

La Meloni e il gioco delle parti – di Domenico Galbiati

Siamo arrivati al punto che non un esponente politico qualunque, ma addirittura la Seconda carica dello Stato, in prima persona, accende volutamente uno scontro – studiato ad arte ed, infatti, non a caso ricorrendo a dichiarazioni ripetute – sulla Resistenza e sul carattere antifascista della Costituzione, evidentemente diretto a metterne in discussione i valori fondativi, se non altro a suggerirne una incerta legittimazione storica, come se si volesse, subdolamente, minarne l’ impianto. Stiamo cadendo, forse senza comprenderne del tutto la portata, in una contraddizione, non solo inedita ed inaudita, ma, per sua natura, insanabile.

Piuttosto che stare al suo gioco, incolonnandosi dietro il pifferaio magico per rintuzzarne, l’una sull’ altra, le note stonate, è bene stare al punto politico della questione. Non basta indignarsi, né rivendicare la propria buona coscienza democratica. Al contrario, è necessario chiedersi come sia potuto accadere che, venuti meno i grandi partiti popolari della prima repubblica, l’ Italia sia stata consegnata alla destra estrema. La quale, in definitiva – sia pure accanto ad alcune formali prese di distanza, più che di esplicita e motivata condanna del ventennio – con suoi esponenti di primissimo piano rivendica, di fatto, la sua ascendenza fascista. Proiettando tale ombra se non sulle stesse istituzioni, sul ruolo di primaria responsabilità che in esse si riveste, addirittura in ordine a quel compito di garanzia che ne statuisce la piena legittimità democratica.

Va osservato un secondo aspetto di tale vicenda, che ci introduce ad un 25 aprile, potenzialmente capace – fosse pure a mero scopo dimostrativo – di lacerare il patrimonio morale e la coscienza civile del Paese. Anzitutto, se guardiamo alla storia della cosiddetta “seconda repubblica” è del tutto evidente come Fratelli d’Italia nasca per riportare la destra alla stagione che precedette Fiuggi e la nascita di Alleanza Nazionale.

A molti esponenti di quel mondo è rimasta sullo stomaco, indigesta, l’affermazione di Fini secondo cui il fascismo è “il male assoluto”. Semplicemente pensano che non sia cosi. Anzi, i Fratelli d’ Italia hanno piantato qui, su questo terreno, immemore della tragedia fascista, le tende del loro campo trincerato, il campo-base da cui hanno scalato la vetta del potere.

La prima tappa, per taluni di loro, di un percorso diretto a stabilire una egemonia culturale che, in qualche modo, vendichi, nello loro onirica visione nostalgica, un’ ideologia irrimediabilmente condannata dalla storia, quasi pretendesse di rivalersi nei confronti della Repubblica democratica e costituzionale. Non a caso La Russa – cui va riconosciuto il merito di prescindere da quella dissimulazione sotto cui altri occultano l’ abito mentale residuo, che, pure, tuttora vestono – ha, più volte, rivendicato, a chiare lettere, la sua intenzione di riservarsi un ruolo espressamente politico – e, dunque, di parte e di appartenenza – accanto a quello di altissima responsabilità istituzionale. Insomma, non rinuncia ad essere uomo di partito.

A questo punto, diventa preoccupante a fronte delle esternazioni di La Russa, il silenzio tombale di Giorgia Meloni.
Perché non interviene e non riporta nei ranghi il più autorevole dei suoi militanti? Non corre, forse, il rischio che, stando così le cose, il suo diventi una sorta di “silenzio-assenso” che da Palazzo Madama riverberi l’ assurdo, penoso affanno del Presidente del Senato anche su Palazzo Chigi e su chi oggi lo abita? A meno che Giorgia Meloni sostanzialmente non condivida, cosicché non vi sia alcuna contraddizione, ma piuttosto un pericoloso gioco delle parti.

Domenico Galbiati