Il partito di Draghi – di Domenico Galbiati
E’ sempre più evidente come abbia avuto ragione il “Manifesto” di INSIEME (CLICCA QUI) del novembre 2019 – il documento che ha lanciato il percorso fondativo del nuovo partito e riassumeva, in un testo organico, le riflessioni sviluppate negli anni precedenti per la meditata e paziente preparazione della nostra iniziativa politica – laddove sosteneva: “Non basta allora ri-formare, occorre piuttosto trasformare”.
Chi ha qualche anno in più’, forse ricorda il “gioco del quindici”. In una tavoletta che stava nel palmo di una mano, c’erano quindici tesserine incardinate tra loro e numerate per sedici postazioni possibili. Si trattava di allinearle secondo la sequenza numerica da 1 a 15, facendole scorrere grazie all’unica casella libera. Il numero delle posizioni di partenza era pressoché illimitato, ed altrettanto lo erano i percorsi di ricomposizione della sequenza. Ma l’approdo vincente non poteva che essere sempre lo stesso, perennemente uguale. In fondo, un gioco gattopardesco in cui tutto mutava perché tutto tornasse come prima.
A voler osservare quel che accade nel quadro complessivo delle relazioni tra partiti, movimenti e quant’altro concorre alla fisionomia del nostro sistema politico, il “gioco del quindici” ne può rappresentare, almeno per più aspetti, una metafora efficace. A parole molti convengono circa la necessità di superare il bipolarismo maggioritario e, dunque, perfino concordano con la proposta di una legge elettorale proporzionale che INSIEME suggerisce da tempi non sospetti. Una legge che, prevedendo le opportune soglie, nonché le modalità con cui esprimere le preferenze, permetta alle singole forze, nella loro piena ed autonoma, chiara sovranità ideale, di costruire, prima e dopo il voto, le necessarie alleanze politiche.
Apparentemente, c’è una rincorsa all’ “Eldorado” del cosiddetto “centro” più affannosa e su piste più battute di quelle del mitico West. Senonché, se si osserva più da vicino, molti cosiddetti “centristi”, di fatto, cercano piuttosto di accreditarsi come tali, ma pur sempre afferenti all’ una o all’altra parte, per concorrere alle remunerative fortune della destra o piuttosto della supposta sinistra. Altri, pur rivendicando autonomia, di fatto, nella misura in cui si definiscono pregiudizialmente di “centro”, tradiscono di concepire sé stessi come forza di interposizione tra i due classici schieramenti. Nell’ uno e nell’altro caso sono comunque funzionali all’asfittico gioco bipolare o, tutt’al più, ne rappresentano una modesta variazione sul tema.
Pochi – forse il solo Carlo Calenda – mostrano di aver compreso che il punto è, al contrario, un altro: se e come si possa – e si debba – rompere la tenaglia bipolare che umilia la nostra democrazia ed allontana i cittadini perfino dall’ elementare dovere civico di prendere parte attivamente alla vita democratica del proprio Paese, anzitutto con il voto.
Il che si può favorire, appunto, con l’introduzione di una legge proporzionale, oppure attraverso la creazione di una coalizione che sia non sostanzialmente consensuale, ma realmente autonoma e, dunque, metodologicamente alternativa alla morta gora vigente. Capace, cioè, di restituire il calore di contenuti forti ed il vigore del confronto aperto tra visioni ideali e progetti politici che siano in grado di sopportare una dialettica reale.
In questo quadro, s’inscrivono le vociferazioni in ordine al presunto “partito di Draghi”. Su queste pagine non si è mai lesinato il riconoscimento all’ autorevolezza che il Presidente del Consiglio mostra anche a livello internazionale.
A maggior ragione, non c’è motivo di addossargli i panni da “uomo del destino”, secondo un vezzo abusato nella storia del nostro Paese. Come sosteneva Mino Martinazzoli non ci sono “liberatori”, ma solo uomini che si liberano.
Il punto non è sapere se, dopo le politiche del prossimo anno, a Palazzo Chigi siederanno la Meloni o piuttosto Salvini, Enrico Letta o – eventualmente in sua vece, come espressione, al di là dell’ esausto “campo largo “, di una sorta di riedito Ulivo – appunto Mario Draghi. La questione vera è, piuttosto, come liberare le energie latenti nel
Paese, come ricostruire il nesso tra istituzioni, politica e mondi vitali della società civile, consentendo agli italiani di votare per forze che sentano davvero affini al loro sentire morale ed ideale, ancor prima che immediatamente politico.
Non si tratta di assecondare l’attesa che la sera stessa del voto si debba sapere chi governerà per i successivi cinque anni. Questa è, infatti, francamente un’idea da non sposare acriticamente nella misura in cui allude, di fatto, ad un rapporto diretto tra un Capo ed il Popolo. Quasi volendo prescindere in buona sostanza, dal compito delle forze politiche, al contrario tanto più indispensabili, quanto più un contesto civile complesso esige di essere costantemente monitorato ed assistito da una costante, attiva e vigile partecipazione alla vita democratica, che arricchisca e mantenga viva nel tempo una delega quinquennale che pur costituisce l’asse portante della democrazia rappresentativa. Purché’ ovviamente le forze politiche, piuttosto che un aggregato di reciproche convenienze elettorali, siano effettivamente all’altezza del compito che idealmente loro compete.
E qui si pone anche il tema dell’art. 49 della Costituzione su cui è urgente riflettere per porvi seriamente mano. Il percorso di rigenerazione del nostro sistema politico non è semplice. Eppure, va perseguito con tenacia e con la generosità di non ricercarvi interessi di parte.
Domenico Galbiati