Draghi e le contese interne anche sull’Ucraina – di Domenico Galbiati

Draghi e le contese interne anche sull’Ucraina – di Domenico Galbiati

“De Gasperi lanciò la proposta della difesa europea”, lo ricorda Draghi, a conclusione del vertice di Bruxelles. Un richiamo netto e stringato ad uno dei momenti più alti della vocazione europea del nostro Paese, sicuramente messo lì non a caso, ma con il quale il Presidente del Consiglio, d’un sol tratto, inquadra storicamente e politicamente le posizioni che il suo Governo ha assunto in ordine all’aggressione russa all’Ucraina, nel solco della tradizionale politica di cooperazione internazionale e di pace che il nostro Paese ha costantemente perseguito. Non a caso afferma altresì: “Esprimo la gratitudine mia e del governo al Santo Padre e sottolineo che noi cerchiamo la pace, io la sto cercando certamente, gli altri leader anche”. Ribadisce: “Non siamo in guerra perché si segue un destino bellico, si vuole la pace”. Precisando come la quota del 2% da riservare alla spesa militare risale ad un impegno che il governo ha assunto fin dal 2006, sempre confermato da tutti i governi che si sono succeduti da allora e che torna di attualità “…perché più urgente è venuta l’esigenza di iniziare a riarmarci”.

Mario Draghi tiene il punto e fa bene. Manifesta anche a livello europeo ed internazionale l’autorevolezza che gli riconosciamo sul piano interno. Un incremento delle spese militari che sia programmato e coordinato nel quadro dell’ Alleanza Atlantica, assunto paritariamente e concordemente da tutti i Paesi membri, in un frangente che, riportando la guerra nel cuore dell’Europa, segnala una condizione particolarmente scivolosa, sicuramente non evoca intenzioni bellicistiche che contraddicano i nostri impegni costituzionali.

Ciò, peraltro, non significa che l’Occidente non debba riflettere su errori che pur sono stati commessi e non possa ridisegnare strategie che, in nessun modo, esauriscano i comuni impegni su un piano di mera sinergia militare.
In modo particolare, l’ Europa deve interrogare sé stessa. Deve verificare seriamente fin dove giunga l’effettiva volontà di spingere il proprio destino verso il compimento di una reale unità politica che le consenta, rigorosamente nel quadro della NATO, per la comune difesa dei valori in cui si riconosce l’Occidente, di articolare un rapporto più maturo con l’altra sponda dell’Atlantico. Intanto, il protrarsi del conflitto armato, implica l’importanza crescente del “fronte interno” che si attesta su almeno due livelli.

Da una parte, la tenuta dei rapporti e la convergenza tra i vari Paesi membri della coalizione occidentale, dall’ altra
la consonanza, all’interno dei singoli Stati, tra le diverse forze politiche, in modo particolare i partiti che concorrono a dare forma alle maggioranze di governo. E qui le cose in casa nostra mostrano qualche preoccupante smagliatura, per cui rischiamo di essere percepiti come ambigui, inaffidabili, forse condizionati da un “filo-putinismo” che, ampiamente propalato in modo irresponsabile e politicamente becero in altri momenti, ora ci torna indietro come un boomerang che qualcuno, in modo particolare, deve schivare, a costo di qualche contorsionismo di troppo.

La diatriba tra Conte e Di Maio in ordine all’incremento delle spese militari non è da sottovalutare. Forse i 5 Stelle faticano a rendersi conto che, a prescindere dalla loro inconsistenza in termini di cultura politica, sono pur sempre titolari della più ampia rappresentanza parlamentare, esprimono il Ministro degli Esteri, governano ininterrottamente dall’ inizio della legislatura, sono parte essenziale della maggioranza di unità nazionale in cui si sostanzia l’attuale governo. Per giunta, il PD, pur di impalmarli in vista del “campo largo”, li ha eletti, forse con sorpresa di molti di loro, addirittura “campioni” di una nuova sinistra cui auspicabilmente affidare il Paese. Senonché, prevalgono, addirittura in un momento come l’attuale, le contese interne che vengono scaricate sul
Paese.

Conte si preoccupa soprattutto di rifarsi il trucco e di essere confermato a “capo” del Movimento e mai, come in questa occasione, mostra la sua oggettiva modestia e fors’anche quel po’ di sordo, inconfessabile rancore che ancora lo anima nei confronti del suo successore. Per non dire dell’ imbarazzo di Salvini quando si tratta di Putin.

Domenico Galbiati