Prosperetti: la crisi del nostro welfare è giuridica, non economica. Finanziare il lavoro

Prosperetti: la crisi del nostro welfare è giuridica, non economica. Finanziare il lavoro

Retribuzioni, lavoro, previdenza. I pilastri del nostro modello di welfare non possono più reggere la forza della globalizzazione.

E la diaspora delle imprese verso Paesi che praticano un dumping sociale sfrenato non si fermerà certo con i dazi o nuove guerre commerciali. Serve, invece, un ripensamento culturale del nostro Stato sociale: «La crisi è giuridica non economica» spiega Giulio Prosperetti, giuslavorista e giudice della Corte costituzionale, in questa conversazione con Il Sole  Ore. «Se consideriamo il nostro modello di welfare con le sole categorie economiche non troviamo una prospettiva di soluzione. Vanno invece ripensati i suoi istituti giuridici, inadeguati per una società post-industriale dove la vecchia tripartizione studio-lavoro- pensione non funziona più, la cronologia delle nostre vite è cambiata e la formazione diventa una necessità permanente».

Nel suo ultimo libro (Ripensiamo lo Stato sociale, Cedam Wolters Kluwer) Prosperetti ha raccolto gli scritti degli ultimi venticinque anni su questi temi. «È un arco di tempo nel corso del quale ogni anno abbiamo avuto una riforma delle pensioni. È evidente che il sistema così non regge. Già oggi lo Stato integra per un 30% le prestazioni pensionistiche e l’obiettivo di una integrale fiscalizzazione degli oneri sociali corrisponde a una prospettiva di lungo periodo».

Il finanziamento a ripartizione delle pensioni è un problema da risolvere non solo in Italia. È di questi giorni la notizia che in Germania si è deciso di finanziare un supplemento alle pensioni minime con un’imposta sulle transazioni finanziare, un progetto che la Grosse Koalition di Angela Merkel ora vuole proporre all’Unione europea.

«La sicurezza sociale – spiega il professore – è ormai una finalità dell’ordinamento che trascende il mondo del lavoro. Insomma, la previdenza non è più l’ombra del rapporto di lavoro ma corrisponde a una esigenza di diritti universali e di pace sociale, per cui il profilo assistenziale dovrà finire col prevalere su quello previdenziale. Quando il rapporto tra pensionati e lavoratori attivi sarà di 1 a 1, diverrà di tutta evidenza che non può essere il sistema contributivo a mantenere gli attuali trattamenti pensionistici ultraventennali».

E una fiscalizzazione degli oneri sociali aiuterebbe proprio le imprese più penalizzate dal cuneo, quelle con più dipendenti: «L’automazione ha cambiato le fabbriche, non abbiamo più manifatture con migliaia di addetti, per le stesse produzioni bastano poche centinaia di lavoratori, per questo bisogna trovare forme diverse di finanziamento
del welfare, per esempio sui profitti complessivi o sul fatturato Iva».

Quelle stesse produzioni labour intensive più esposte al rischio di delocalizzazione, o altre professioni considerate non più competitive, sarebbero inoltre più protette se le retribuzioni venissero integrate da un aiuto pubblico. Prosperetti propone di finanziare il lavoro, non gli ammortizzatori sociali contro la disoccupazione quando arrivano le crisi: «La mia idea è che, se vogliamo evitare questa diaspora del manifatturiero dall’Italia, invece di supplire con la cassa integrazione straordinaria, sarebbe più utile impiegare queste risorse per integrare, da parte dello Stato, le retribuzioni dei lavoratori impiegati nei settori maggiormente esposti alla concorrenza derivata dalla globalizzazione dei mercati. Naturalmente la contrattazione collettiva in questi settori svantaggiati dovrà tener conto ell’integrazione
statale, così da rendere competitive le condizioni di impiego».

E i vincoli di bilancio? I divieti europei agli aiuti di Stato? Come si può garantire un nuovo intervento pubblico dove i mercati arretrano?
«L’articolo 36 della Costituzione postula una retribuzione sufficiente, e cioè in linea con le previsioni della contrattazione collettiva, come stabilito da una costante giurisprudenza. Sinora questa norma è stata considerata precettiva solo nei confronti dei datori di lavoro, con la conseguenza che molte delocalizzazioni di imprese sono avvenute proprio verso Paesi che praticano un dumping sociale e permettono retribuzioni notevolmente inferiori
a quelle praticate nel nostro Paese. Se integriamo le retribuzioni aiutiamo il lavoro, non credo violando le norme contro gli aiuti di Stato».

Sono riflessioni che incrociano con il dibattito apertissimo sullo sviluppo sostenibile o quello che il Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz ha chiamato capitalismo progressivo, modelli di welfare inclusivi e a prova di globalizzazione: «Gli Stati devono usare in maniera diversa il welfare, aggiornare gli istituti giuridici. Nell’ordinamento francese, per esempio, il principio della solidarietà intergenerazionale è chiaramente espresso, mentre nel nostro ordinamento si riduce ad una mera previsione tecnico-finanziaria, che però condiziona comunque
l’ammontare e il diritto alla attesa prestazione pensionistica. Le risorse vanno redistribuite, dovremo avere in futuro pensionati meno ricchi e più giovani e più donne occupate. In un recente passato, il Comitato interministeriale prezzi
fissava anche il costo del pane; oggi, in una situazione nella quale non c’è più lavoro per tutti, dobbiamo conservare anche produzioni meno remunerative perché la priorità rimane quella di dare lavoro e dignità a tutti i cittadini».

Intervista di Davide Colombo pubblicata su Il Sole 24 Ore il 16 novembre 2019