Il Sud e il Buongoverno – di Michele Rutigliano

Il Sud e il Buongoverno – di Michele Rutigliano

Durante i lavori dell’Assemblea Costituente non furono in pochi ad opporsi all’introduzione delle Regioni nel nostro Ordinamento giuridico. Tra questi vorrei ricordare Costantino Mortati che temeva, col regionalismo, una possibile frantumazione dello Stato. Così come Palmiro Togliatti che  considerava  le Regioni uno strumento per indebolire lo Stato e favorire le classi privilegiate. Ma anche Luigi Einaudi, il futuro Capo dello Stato, votò contro. Anche lui  temeva che il regionalismo avrebbe provocato un aumento dei costi a carico del bilancio dello Stato. Purtroppo, a distanza di oltre settant’anni, dobbiamo ammettere che quei timori non erano del tutto infondati.

La situazione che si è creata al Sud è dovuta a vari fattori. In parte alle pesanti responsabilità dello Stato. Ma anche  alle inefficienze e incapacità delle classi dirigenti meridionali. Non dobbiamo meravigliarci più di tanto se, con tutta questa zavorra accumulata nel tempo, il divario tra Nord e Sud è aumentato. E soprattutto non dovremmo più scandalizzarci di fronte alla prospettiva di un lento  spopolamento e impoverimento del Mezzogiorno. Un rischio che è molto più concreto oggi di quanto non lo fosse ai tempi della “Prima Repubblica”.

E’ vero che il regionalismo ha prodotto tanti risultati positivi. Ma dove li ha prodotti? Molti nelle regioni del Nord. Pochi nelle Regioni del Centro. E quasi zero in quelle del Sud. Mentre il Nord ha visto un aumento delle pratiche di buongoverno, il Sud, pur con lodevoli eccezioni, continua a soffrire. Prova ne sia  il recentissimo caso di Bari e Triggiano, per tutta quella compravendita di voti che è venuta a galla. Nel Nord, il regionalismo ha portato a una maggiore autonomia e responsabilità ed ha sviluppato politiche efficaci per l’economia e la società. Ad esempio, la Lombardia e il Veneto hanno investito molto in infrastrutture e istruzione, contribuendo a creare un ambiente favorevole per le imprese e l’innovazione.

Al Sud, invece, una certa classe politica vanitosa e mediocre ha fallito su tutti i fronti.  E questo perché  il malgoverno non si alimenta solo con la corruzione e il clientelismo. No, cari mei! Il malgoverno si nutre anche di altri fattori. Come l’incapacità, la mancanza di visioni progettuali, l’incompetenza  e la superficialità nella gestione della cosa pubblica. Ricordiamo quello che diceva Benedetto Croce, a proposito dell’onestà dell’uomo politico. “Ma che cosa è, dunque, l’onestà politica?” – si chiedeva il grande filosofo napoletano. “L’onestà politica non è altro che la capacità politica: come l’onestà del medico e del chirurgo è la sua capacità di medico e chirurgo, che non rovina e assassina la gente con la propria insipienza condita di buone intenzioni e di svariate e teoriche conoscenze”.

In questi ultimi anni, le regioni meridionali sono state accusate di impreparazione, inefficienza e sprechi nel non aver saputo utilizzare tutti i fondi nazionali ed europei. Il Molise, la Basilicata e Campania, in particolare, sono state criticate per avere un buon posizionamento in termini di selezione dei progetti, ma una modesta capacità di spesa e una incapacità nel realizzarli. Ora, però, fermiamoci un attimo e vediamo perché queste critiche sono più che fondate e molto ben documentate.

Prendiamo la Calabria e la Basilicata. Due regioni che si collocano quasi sempre all’ultimo o penultimo posto nelle graduatorie sulla povertà, sul reddito medio pro capite e sulle prospettive future di crescita economica e sostenibilità sociale.

In questi ultimi anni, pur in presenza di pesanti responsabilità dello Stato,  queste due regioni sono state  pesantemente “redarguite” non solo dall’opinione pubblica ma in alcuni casi anche dalla stampa internazionale. Tra i tanti motivi uno in particolare brucia più di tutti.  Il non aver saputo elaborare (o realizzare) progetti validi  a contrastare lo spopolamento e l’impoverimento dei piccoli paesi e delle aree interne.

E allora vediamo cosa ci raccontano, in proposito, le statistiche e le proiezioni.  Innanzitutto c’è il capitolo spopolamento. Dal 2002 al 2021, il Mezzogiorno ha perso 1,1 milioni di residenti. Questo è dovuto in gran parte all’emigrazione di giovani qualificati verso il Centro-Nord. Si stima, infatti, che entro il 2080 il Mezzogiorno perderà oltre 8 milioni di residenti, riducendo la sua popolazione dal 33,8% a solo il 25,8% della popolazione italiana. L’altro fattore di crisi riguarda l’invecchiamento che non si arresterà nei prossimi decenni. Tra il 2022 e il 2080, il Mezzogiorno dovrebbe perdere il 51% della popolazione più giovane (0–14 anni), contro il –19,5% del Centro-Nord.

Per quanto riguarda poi l’impoverimento, sappiamo tutti che l’accelerazione dell’inflazione del 2022 ha eroso il potere d’acquisto delle fasce più deboli della popolazione La contrazione del reddito disponibile delle famiglie meridionali (-2%) è doppia rispetto al Centro-Nord. Un altro fattore di rischio per le regioni del Sud  è questo sciagurato progetto di autonomia differenziata. Guarda caso molto più caro alla Lega che non agli altri partiti della coalizione. Questo progetto  espone l’intero Paese ai rischi di una frammentazione insostenibile delle politiche pubbliche. Se fosse approvato,  potrebbe causare un congelamento dei divari territoriali di spesa pro capite e un indebolimento delle politiche redistributive e di riequilibrio territoriale

Infine, c’è la nota dolente che riguarda la mancanza di servizi, in particolare in Calabria e in Basilicata. Carenza di asili nido, evasione scolastica, scarso contrasto alla povertà educativa, mancanza di lavoro, carenza dei servizi sanitari e socioassistenziali. E a tutto questo aggiungiamo la mancanza di progetti per rendere i paesi e le città più vivibili e attrattivi per i giovani, sempre più orientati ad abbandonare la loro terra per farsi una vita altrove. Tra i tanti, sono questi i fattori che  hanno contribuito a creare una situazione di crisi e impedito alle Regioni del Mezzogiorno di raggiungere il livello di benessere e di sviluppo raggiunto nelle altre regioni italiane.

Alla Basilicata e alla Calabria bastava studiare un po’ meglio quella strategia nazionale per le aree interne che l’allora Ministro del Mezzogiorno Fabrizio Barca elaborò soprattutto per le regioni del Sud. Una strategia che andrebbe attuata con pratiche di buongoverno. E non, come accade sempre più spesso, mortificata con la filosofia del potere o con quella del trasformismo che non hanno mai perseguito né provocato alcuna utilità sociale.

Michele Rutigliano