I cattolici e la loro diaspora politica – di Giancarlo Infante

I cattolici e la loro diaspora politica – di Giancarlo Infante

Abbiamo dato conto dell’intervento di INSIEME pubblicato su Avvenire qualche giorno fa per dire che è l’ora di farla finita di piangere sulla “diaspora” politica dei cattolici (CLICCA QUI). O, come ha poi detto, sempre sull’Avvenire, il professor Giuseppe de Rita di uscire dalla “sonnolenza”. E basta dire, e dirsi, che s’intende superare trent’anni della cosiddetta “diaspora” o dell’idea di lasciare la possibilità di una presenza ispirata?

In realtà, c’è molto di più da fare. Ed è questa una questione che spiega perché, proprio per perseguire questa prospettiva, sono nati, prima, Politica Insieme e, poi, INSIEME. Lo abbiamo fatto in solitudine per lungo tempo e andando contro corrente all’interno di un mondo comunque ancora in grado di riportare nella società, nelle istituzioni e nel sistema politico un voce di solidarismo, di inclusione e di autentico popolarismo.

La lunga e deludente stagione del bipolarismo, tenuto in piedi da leggi elettorali persino anticostituzionali, ha fatto scomparire tante voci profondamente radicate nella società e nella cultura politica del Paese. Costrette a ragionare solo in termini di schieramento imposti da una politica fatta per slogan e la cui agenda finisce per essere dettata dalle posizioni più estreme presenti all’interno dei due campi contrapposti.

Così, i grandi pensieri politici che hanno sempre animato i passaggi più importanti dell’evoluzione dell’Italia moderna, portata ad essere persino la quarta potenza più industrializzata del mondo, hanno progressivamente perso capacità d’incidere. Al punto che, dopo trent’anni, è inevitabile sentire elencare una serie di motivi, anche di cambio generazionale, destinati a rendere difficile, persino, il solo pensare alla nascita di un partito d’ispirazione popolare in grado di ripresentarsi al cospetto della pubblica opinione. Intanto, però, è un generale parlare di “sonnolenza”, di irrilevanza e d’indifferenza. E poco consola il sentir dire che questo sembra valere pure per i socialisti, come per i repubblicani e per il liberali. Anche se la forza di questi pensieri “forti” sono confermati da quanti vagheggiano, e ne fanno spesso una litania, la nascita di un raggruppamento che, assieme, sia liberale, riformista e cattolico. Un  “potpourri”, insomma, più funzionale ad inglobare verticisticamente che a mettere le basi di un’autentica partecipazione e valorizzazione

In ogni caso, questo sottolinea quanto nel profondo della società italiana esista il tema della partecipazione e del cambiamento richiesto alla politica, incapace ad autoriformarsi. Lo dimostra il continuo fiorire di esperienze e di liste civiche, di gruppi autonomi e spontanei caratterizzati, in particolare, dalla dimensione territoriale. Cui manca, però, e loro stessi ne sono alla ricerca, un afflato, un collegamento, una sorta di rete utile a fornire il coesistente  senso dell’essere componenti di una presenza nazionale.

Chi partecipa alla nostra esperienza è mosso dalla consapevolezza, allora, che una nuova realtà politica si possa costruire su di una base programmatica capace di offrire un collegamento di idee e di pensiero, ma senza abbandonarsi ad una visione ideologica o ad un’offerta di parte, meno che mai confessionale. Ecco perché va sempre ribadito il fatto che noi non crediamo nel “partito cattolico” e neppure “dei cattolici”. Bensì in quello fatto da  uomini liberi, in molti animati da un’ispirazione cristiana, coscienti di quanto il Paese abbia più che mai bisogno di riscoprire una visione solidale. In grado di includere e riannodare i fili di quella storica sfida posta dalle grandi divisioni sociali e geografiche che, purtroppo, sono nel Dna dell’Italia, e che non riusciamo mai a sradicare. A partire da quella che riguarda il Mezzogiorno. Sempre irrisolta e, semmai, ulteriormente aggravata nel corso dell’ultimo trentennio.

Dunque, la proposta non può essere quella di ridurre il tutto all’appello a mettersi insieme perché ci si dice cattolici e parte di una delle consolidate culture politiche autenticamente democratiche legate a quella stagione durante la quale si fu capaci di rispondere al terrorismo, alle ripetute crisi economiche e alle difficoltà del contesto internazionale dominato dalla Guerra fredda senza mai far venire meno ai principi costituzionali e dedicandosi alla lunga, lenta e faticosa ricomposizione sociale ed economica. Lo si fa perché c’è da dire quello che altri non dicono o che, se lo fanno, non hanno un progetto organico su cui richiamare l’impegno degli italiani. (Segue)

Giancarlo Infante