La Giornata della Pace e l’Intelligenza artificiale – di Domenico Galbiati

La Giornata della Pace e l’Intelligenza artificiale – di Domenico Galbiati

Avessimo continuato a chiamarla “cibernetica”, ci saremmo risparmiati tante inutili afflizioni. Non tanto in ordine ai sospetti che gli sviluppi dell’Intelligenza Artificiale suscitano circa la nuova struttura dei processi produttivi ed i possibili conseguenti danni occupazionali. A questo riguardo, infatti, la questione sicuramente non è nominalistica e i timori restano in ogni caso, così da esigere una regolazione sapiente ed eticamente fondata dell’intera materia.
Quanto piuttosto nella misura in cui il fatto stesso di chiamarla espressamente, con un linguaggio magniloquente, niente meno che “Intelligenza Artificiale”, sta sollevando, a maggior ragione, nella pubblica opinione, ma anche tra gli addetti ai lavori, interrogativi e larvate paure, in prospettiva più preoccupanti, piu’ realistiche e piu’ fondate.
Le quali rievocano la domanda – per la verità antica almeno di qualche secolo, poi sopita ed oggi riemergente – se possa succedere mai che un giorno le “macchine” possano pensare, avere addirittura coscienza, fino al punto di soppiantare il genere umano.

Se si scorre l’ abbondante pubblicistica in merito, ma anche lavori più meditati e scientificamente fondati, ci si accorge come, talvolta più espressamente, tal altra in filigrana, quasi sotto traccia, implicitamente, senza confessarlo espressamente, si coglie questo fastidioso timore. Spesso le parole ci ingannano e, infatti, aver chiamato “intelligenza artificiale” la capacità di autoregolazione che misteriosamente (?) compare nei sistemi complessi, rischia di portarci fuori strada e di generare, appunto, paure che pur non hanno senso.

Ha fatto bene Papa Francesco a dedicare l’ odierna “Giornata della Pace” al tema dell’IA. Ha colto una domanda che, anziché di carattere tecnico o tecnologico, come comunemente si pensa, è piuttosto, in primo luogo, d’ordine antropologico.

L’IA parla di noi. Non a caso, la ricerca scientifica e tecnica in tale ambito non può fare a meno di farsi accompagnare, addirittura guidare da una riflessione ontologica di cui tocca ai filosofi farsi carico. Una tematica, dunque, che interpella la nostra “stoffa umana” e, ad un occhio attento, rivela e pone sia questioni profonde che riguardano, appunto, la nostra identità e ce la rendono, in certo qual modo, ancor più problematica. E questo vale addirittura per le attese e le prospettive, sognate o temute, del genere umano come tale, in relazione alle sue possibili evoluzioni e sviluppi.

E’ come se, anche oggi, comprendessimo di essere, ancora e sempre, in cammino, alla ricerca inesausta di un “ubi consistam” che rivela una profondità abissale ed insondabile. Cosicché, il cammino in sé, questo progressivo avvicinarsi ad una dimensione che va oltre la percezione usuale della nostra finitudine, sembra essere la nostra identità più autentica ed ultima.

Domenico Galbiati