Sud e Nord: ma quali “fratelli d’Italia”? – di Michele Rutigliano

Sud e Nord: ma quali “fratelli d’Italia”? – di Michele Rutigliano

Gli anni passano, i governi cambiano ma il divario tra il Sud e il Centro-Nord non accenna a diminuire. Il nostro treno dei desideri, purtroppo, non solo è fermo, ma, come direbbe Adriano Celentano, “all’incontrario va” . Il Rapporto Svimez, presentato  il 5 dicembre scorso  a Roma ci informa che la distanza tra il Sud e il resto del Paese  continua  ad aumentare.  E questo,  nonostante le promesse e  la  montagna  di bonus, sovvenzioni e sussidi  elargiti al Mezzogiorno. I partiti della Seconda Repubblica, con brevissime parentesi dei governi Monti e Draghi, che bilancio possono presentare dopo vent’anni e passa di governo del Paese? La più grande questione politica, economica e sociale dell’Italia repubblicana, ha ceduto il passo, ed è questa la novità,  alla madre e alla figlia di tutte le riforme: vale a dire al premierato e all’autonomia differenziata. Due armi di distrazione di massa, sostengono alcuni. Secondo altri, invece, si tratta di due  disegni di legge costituzionali, che in mancanza di un organico e condiviso  progetto di riforma delle nostre istituzioni, con ogni probabilità, andranno a ficcarsi su un binario morto.

Come ci insegnano i due tentativi compiuti da Renzi e Berlusconi,  si tratta di due progetti che, con tutto questo fuoco di sbarramento scatenato dalle opposizioni, difficilmente andranno a buon fine. Tornando a riflettere su cose un po’ più serie, dal Rapporto Svimez emergono solo certezze negative, mentre invece,  dovremmo iniziare a preoccuparci e molto seriamente sulla “sostenibilità” economica e sociale di un territorio che è quasi la metà del nostro Paese. Mi spiego meglio. Dal rapporto Svimez, a mio parere, non emergono due Italie tra loro incompatibili. Non la metterei su questo piano. Emergono, questo sì, due mondi distinti ma non irrimediabilmente distanti.  Un contrasto che non dovrebbe   compromettere né la coesione né l’unità del nostro Paese. C’è un rimedio a questo crescente dualismo tra Nord e Sud? Certamente. Il rimedio è la Politica: quell’arte di governo  che, nel secondo dopoguerra, grazie alla presenza e all’intelligenza dei partiti popolari, ha raccolto dalle macerie un’Italia sconfitta, umiliata e alla fame e l’ha collocata, in soli vent’anni,  tra i sette paesi più industrializzati del mondo.

Oggi, invece, si ha l’impressione che la classe politica, già abbondantemente denigrata e sbeffeggiata dal populismo grillino, sia affollata da personaggi impreparati e inconcludenti. Se per questi signori fosse previsto un test psico attitudinale per ricoprire un incarico pubblico, scommetto che ben pochi riuscirebbero a superarlo. Noi, gente normale, ci chiediamo spesso e volentieri perché  mai un professionista, per svolgere la sua attività, deve sottoporsi ad un esame di Stato mentre invece un qualsiasi cialtrone che promette cose impossibili può diventare parlamentare, sottosegretario o ministro? Vogliamo fare un esempio? Di fronte a questa drammatica disparità che emerge  tra il Nord e il Sud del paese, ancora  si insiste con questo strampalato progetto dell’Autonomia differenziata. Che altro non sarebbe, come autorevolmente  sostiene il Professor Gianfranco Viesti, se non una “secessione dei ricchi”. Ma lo sa il Ministro Calderoli che se il Mezzogiorno affonda, tutta l’Italia va a ramengo? Se non si inverte la rotta con politiche mirate soprattutto alle nuove generazioni, il rischio che il nostro Paese, ora governato da fratelli, sorelle e cognati d’Italia, faccia la fine dell’Argentina non è  più tanto campato in aria.  Il contesto in cui ci muoviamo, purtroppo, non è dei migliori. Il Pil del Mezzogiorno cresce della metà rispetto a quelle delle regioni del Nord (+04% rispetto a +0,8). Per non parlare dei pericoli che arrivano dal fronte demografico.

Secondo una proiezione dell’Istat, al 2080  si stima una perdita di oltre 8 milioni di residenti nel Mezzogiorno, pari a poco meno dei due terzi del calo nazionale (–13 milioni).

La popolazione del Sud, attualmente pari al 33,8% di quella italiana, potrebbe ridursi ad appena il 25,8% nel 2080.

Un’altra notizia che la dice lunga sulle difficoltà in cui si dimena il Meridione è questa: al 30 giugno 2023, il 45,2 per cento delle persone recluse proviene da quattro regioni: Campania, Puglia, Sicilia e Calabria. Se rapportiamo questo dato ai soli detenuti italiani, si deduce che il 67,6 per cento dei carcerati proviene da questi territori. Un altro primato (negativo) su cui dovremmo tutti fare un’ esame di coscienza. E chiederci  perché sempre più giovani preferiscono la scorciatoia della delinquenza alla strada molto più impegnativa di un lavoro onesto e dignitoso.

A questo punto non ci resta che sperare nel PNRR, sebbene la Corte dei Conti e l’Ufficio parlamentare di bilancio abbiano smorzato i toni autocelebrativi del Governo. Infatti nel 2023  è stato speso appena il 7,4% di quanto programmato, ovvero 2,5 miliardi di Euro.  E questo perché più del 75% dei progetti è in ritardo.

Eccola qui allora la vera, grande riforma che serve all’Italia: E’ la riforma della Pubblica Amministrazione. Se al Sud le Regioni arrancano e lo Stato è assente,  bisogna pur trovare una soluzione. Non dimentichiamo che nel 2018 il populismo grillino fece man bassa di voti nelle Regioni del Sud. Più o meno quello che è successo in Argentina con l’elezione dell’anarco-capitalista Javier Milei. Purtroppo, nei corsi e ricorsi della Storia, ritorna spesso al Sud questa tentazione di rifugiarsi nel passato, anziché  investire e scommettere  sul futuro. Nel nuovo contesto geopolitico che si è venuto a creare dopo il crollo della globalizzazione, la prospettiva per il Sud potrebbe essere quella della Macroregione Europea. E’ da quarant’anni che se ne parla. Ma con questi chiari di luna, non mi sembra che questa coalizione di governo  avrà la forza, l’intelligenza e il coraggio di realizzarla.

Michele Rutigliano