Un’Italia stanca – di Domenico Galbiati

Un’Italia stanca – di Domenico Galbiati

Sonnambuli, inerti, stanchi, ciechi e rassegnati, disillusi dalla vita, abbandonati al corso degli eventi. Così il CENSIS vede oggi gli italiani. All’80% convinti che l’ Italia sia in declino, incapaci di reagire alla drammatica crisi demografica, in fuga (36.000 giovani, lo scorso anno) dal proprio Paese, timorosi di essere travolti da una guerra che non saprebbero combattere.

Traditi anche dalla globalizzazione che ha finito per restringere il nostro orizzonte vitale, piuttosto che dilatarlo, cosicché oggi imperversa il sovranismo. Privi di ideali, fosse pure l’ immediato, semplice obiettivo di una vita agiata, appagati dalla “ricerca di uno spicchio di benessere quotidiano”, gli italiani si afflosciano, incapaci perfino di desiderare.

Lo stesso lavoro smarrisce la dignità di impegno che da’ senso alla vita ed e’, per lo piu’, percepito come approvvigionamento di risorse da orientare ai “desideri minori”, ai consumi del momento fuggente, senza una prospettiva di futuro. E per il 74% favorevoli all’eutanasia, il che non e’ un buon segno perché un tale sentimento – a prescindere da ogni considerazione di carattere morale o di ordine etico-giuridico – allude, pur sempre, dal punto di vista esistenziale, a come farla finita, piuttosto che a combattere per la vita.

Concepita, a sua volta, come un bene di consumo, strettamente individuale, di cui non si deve dar conto a nessuno, né in cielo né in terra e che si butta una volta usato oppure quando sia scaduto o non “funzioni” più. Eppure ci sono momenti in cui – come in questi giorni, per la morte di Giulia – il Paese è percorso da una emozione forte, collettiva, sincera, che testimonia una passione, un desiderio, forse una nostalgia di “valore umano” che è tuttora viva e persiste, in attesa di essere risvegliata. Ma non c’è chi sappia comporre questa energia morale, pulsante per quanto disordinata e confusa e convogliarla, dallo spontaneismo vitale da cui nasce, nell’ alveo di un disegno e di una speranza di riscatto civile. La “politica” – nessun riferimento, per carità, all’attuale governo – scivola via, impotente, come un rivolo d’acqua su una lastra di marmo, senza lasciare traccia.

La Relazione Annuale del CENSIS è, ancora una volta, talmente puntuale da far sì che la descrizione del contesto civile dell’ Italia, nell’ attuale frangente storico, vada oltre l’ analisi sociologica e, tra le righe, consenta di leggere una prima trama di cause e con-cause della situazione. Eppure queste, al di là della costellazione socio-culturale e politica del fenomeno, sono, in ultima istanza, di ordine esistenziale, cioè vanno rintracciate, più a fondo, nella interiorità delle persone, nell’ auto-comprensione, nella coscienza del valore che ciascuno attribuisce a sé stesso ed alla propria vita, al proprio ruolo ed al proprio destino, nell’ immagine di sé, consapevole o inconscia che sia, la quale quotidianamente guida i comportamenti ed i gesti di ognuno di noi .

E volessimo individuare, con tutta l’ approssimazione necessaria, un punto di sintesi estrema, da cui poi tutto si irradia, si dovrebbe dire che il sentimento prevalente è forse questo: come se oggi non sapessimo più che farcene di noi stessi e del tempo della nostra vita; come se trattassimo il nostro “io” alla stregua di un giocattolo rotto che distrattamente manipoliamo.

Il tutto – su cui è opportuno tornare – ha a che vedere con l’autoreferenzialità esasperata e la crisi della trascendenza di cui oggi pericolosamente soffriamo. (Segue)

Domenico Galbiati