L’anno della nascita e della fine del Terzo Polo – di Giancarlo Infante

L’anno della nascita e della fine del Terzo Polo – di Giancarlo Infante

Quella di Matteo Renzi e di Carlo Calenda di un anno fa fu una scorciatoia tutta di natura elettoralistica e, così, il Terzo polo, nato solo in vista delle urne, di fatto morì alla loro apertura il 26 settembre di un anno fa.

Fu in qualche modo paradossale anche lo stesso modo con cui, improvvisamente, e dopo quella che resta la “confusa” vicenda dei rapporti con il leader di Azione con il Pd di Enrico Letta ed Emma Bonino, il duo Renzi e Calenda si misero insieme per offrire un’alternativa al duopolio destra – sinistra.

Già ieri abbiamo detto che solo dal futuro, probabilmente, sapremo esattamente come andarono queste ed altre vicende delle elezioni che hanno consegnato il Paese all’estrema destra (CLICCA QUI).

Oggi, e per di più dopo un anno di intensa, appassionata, continua polemica tra Renzi e Calenda, si possono solo ricevere delle conferme. Di cui dovrebbero fare tesoro soprattutto quelli che continuano a parla di “Centro” come se da questa parola magica potesse venire, e davvero, la soluzione di problemi che sono molto più complessi. Così come molto più complessa è quella società italiana con significativi problemi di partecipazione e di rappresentanza.

Il Terzo Polo, il “Centro”, non nascono in un laboratorio. E per di più in uno di quelli in cui si affaccendano scienziati legati alle formule del passato fatte tutte di giochi di schieramento e di posizionamento. Se si guarda agli ultimi trent’anni, caratterizzati da una pesante cappa di piombo per la democrazia reale, e la libera, autentica partecipazione alla cosa comune da parte di tutte le forze vive della società, vediamo, ammesso che lo si voglia vedere e trarne le adeguate conseguenze, come la società civile abbia provato come poteva, magari con pulsioni persino contraddittorie tra di loro, ad assumere un ruolo e a superare gl’infiniti vizi d’origine radicati, in generale, nella storia d’Italia e, in particolare, in quella della stagione del bipolarismo. Altrimenti, come interpretare l’effimera esplosione della Lega di Matteo Salvini, poi seguita dall’analoga fiammata dei “grillini” e, quindi ancora, quella della Meloni e dei suoi Fratelli d’Italia? Possiamo azzardare a parlare del ripetersi di cicli di vera e propria “frustrazione” popolare?

Non sono mancate occasioni in cui la società civile ha provato ad esprimersi direttamente. E questo in vario modo. Ad esempio, con la crescita esponenziale di gruppi, associazioni ed organismi che hanno dato vita a quel moto spontaneo di solidarietà destinato ad essere ufficializzata nella Protezione civile. Ma anche con quella congerie di presenze che suppliscono alle carenze dello Stato in materia di assistenza sociale. E per andare a quello che più interessa i giornali, non si possono certo dimenticare i “girotondini” di Nanni Moretti, le donne con il “Se non ora quando” e, infine, all’effimera presenza delle “sardine” in tante piazze d’Italia. Dunque, moti più o meno spontanei in aggiunta ad un impegno solidale continuo e costante, spesso svolto nell’oblio generale, di cui ci si ricorda solo in casi particolari: quelli che, sull’onda dell’emergenza, riescono a richiamare l’attenzione dei mezzi di comunicazione.

Per ciò che riguarda la politica “strutturata”, le esplosioni successive, ed analoghe, di Lega, 5 Stelle e Meloni hanno costituito, a ben guardare, fenomeni che già in partenza mostravano evidenti i segni di una “debolezza” intrinseca, strutturale. Quella della protesta che non è, si badi bene, solo fine a se stessa. Portatrice di interessi, ma comunque destinata a restare cosa effimera e di parte perché carente di un ingrediente fondamentale per la costruzione di una proposta destinata a segnare un ciclo realmente nuovo nella storia di una nazione e di un popolo. E cioè quella dell’indicazione di un “progetto” globale da offrire al cosiddetto “sistema paese” e in grado di risolvere i quesiti, e tutti assieme, dell’adeguata collocazione internazionale, in particolare nei rapporti con l’Europa, della coesione e della ricomposizione delle fratture sociali e geografiche che ancora sono “cose nostre”.

Eppure, nel passato ci sono state le occasioni in cui questo è stato realizzato. E guarda caso sono state quelle in cui l’Italia, con tanti ritardi e contraddizioni, che appunto fanno parte del suo retaggio storico e culturale, è riuscita in ogni caso a crescere e a progredire. La memoria, per restare al solo Secondo dopoguerra, corre ovviamente ad Alcide De Gasperi. Ma, poi, si dovrebbe pure aggiungere la stagione dei tanti Centrosinistra e all’azione parzialmente riformatrice che ci portò alla fine degli anni ’80 a diventare la quarta potenza più industrializzata del mondo. E questo, a dispetto del terrorismo endogeno e di quello sollecitato dall’esterno, dell’altissima inflazione e della presenza del più grande partito comunista dell’Occidente, oltre che dei ripetuti e violenti attacchi portati dalla manovalanza mafiosa.

Queste non dovrebbero essere prese come divagazioni. Da sole già spiegano, infatti, perché qualunque idea politica non possa limitarsi a tenere conto del presente e di quello che un tale presente offre nelle aule parlamentari al momento. Altrimenti, il fallimento del “Terzo Polo” alla Renzi e Calenda, come del resto continua ad accadere ai “cantori” di un “centro” senza qualità e sostanza autonomia e specificità, si ripeterà. Così, dal “bipolarismo” ci libereremo solo quando sarà oramai troppo tardi per un Paese per il quale già da tanto tempo sarebbe stato necessario avviare una trasformazione. Questa, costi quel che costi, non può che partire dal sistema politico – istituzionale che ci ritroviamo per l’innata mentalità, come adesso nel caso della destra, del tirare solo a campare.

C’è bisogno di un’autentica “autonomia” rispetto al perimetro del sistema bipolare. Una scelta inevitabilmente destinata ad avere un costo e a farci ragionare in termini d’investimento per il Paese. Le scorciatoie non servono a molto se non a ritrovarci, quando va bene, con un solo gruzzoletto di parlamentari in mano. Esattamente quanto accaduto a Renzi e a Calenda.

Giancarlo Infante