Qual è la casa dei popolari in Europa -di Giancarlo Infante

Qual è la casa dei popolari in Europa -di Giancarlo Infante

A mano a mano che la campagna elettorale per le europee del 2024 si profila come un evento ormai prossimo e di rilevanza politica assai superiore a quella delle tornate precedenti, aumenta  la forza con cui questa prova condiziona le forze politiche e le costringe a definire le loro posizioni. Ed emerge così, sempre più chiaramente, una sostanziale incompatibilità tra quanti si dicono “popolari” e le altre formazioni o aggregazioni.

Sta sempre più uscendo di scena l’ipotesi che il popolarismo europeo, o meglio i vertici ufficiali del Ppe finiscano per dare vita ad un patto elettorale con i conservatori. Quelli ancora guidati da Giorgia Meloni, così come qualche giorno fa Domenico Galbiati ha posto lo stesso problema in relazione ad altre formazioni (CLICCA QUI).

Pure l’irriducibile Manfred Weber, il Segretario del Ppe, sta cominciando a prendere atto della contrarietà di gran parte dei popolari dei vari paesi europei ad allearsi con la destra post neofascista o, come in Germania, neo nazista. E ciò è il contrario di quello che fa Giorgia Meloni, la quale – esposta come è anche ad una mal celata concorrenza di Matteo Salvini, interna ed internazionale, per chi si colloca più a destra dell’altro – continua ad interloquire con gli Orban e i Vox. A poco serva che Matteo Salvini provi a dare un senso logico di alleanza alla presenza di Marine Le Pen sui pratoni di Pontida.

Una probabile, fredda scelta strategica di campo quella di Giorgia Meloni. Da un lato, per non scoprire il fianco a favore di un alleato considerato infido e che, evidentemente, non si accontenta delle importanti posizioni governative ottenute. Dall’altro, nella  considerazione del più probabile responso dei dati numerici che, probabilmente, il complesso del voto dei singoli paesi europei farà trovare nelle urne.

E poi ci sono le interessanti mosse della Ursula von der Leyen, che dapprima, conferisce un incarico a Mario Draghi e, subito dopo, un altro Enrico Letta. E’ quella stessa Ursula cui è legato il nome della maggioranza uscita dalle urne europee di quattro anni fa e che, per quanto riguarda l’Italia, ha visto partecipi tutti escluso la Meloni e Salvini. La stessa personalità politica che, incassato il “dietrofront di Weber, detta decisamente la linea della continuità in Europa da parte dei popolari. Gli incarichi ai due italiani sono del tutto simbolici, di studio, di sollecitazione sul futuro del Vecchio continente. Ma proprio perché, in fondo, si potrebbe definirli persino superflui, soprattutto oramai al ridosso del voto, assumono il senso e la forza di un messaggio politico. Dietro di cui, inoltre, si scorge la presenza di mondi transnazionali, finanziari, economici e culturali da non sottovalutare. E che è poi proprio tutto ciò che non ha dietro Giorgia Meloni.

Del resto, cosa dicono di fresco l’esperienza italiana e quella spagnola? La destra finisce per assorbire, lei, le altre voci più conservatrici. Evidente il caso italiano dove Silvio Berlusconi ha, alla fine, rinunciato a creare un partito decisamente moderato e pienamente europeista e, dunque, ben distinto dalla destra più estrema. E così facendo ha spianato la strada, prima, a Salvini e, poi, alla Meloni cui ha finito per lasciar trainare il carro del centro-destra diventato destra- centro.

In Spagna, il Partito popolare  è stato costretto a fare i conti con i numeri e a spingersi, persino dopo una furiosa campagna condotta con un’eccessiva e compromettente promiscuità con Vox, a proporre al socialista Sanchez di organizzare una “staffetta” per la salvaguardia della nuova legislatura.

Esperienze che pesano e che, al momento, sembrano fortemente condizionare i posizionamenti politici in vista delle europee.

Giancarlo Infante