Zamagni: il prendersi cura e la pubblica felicità

Zamagni: il prendersi cura e la pubblica felicità

“Perché la società di oggi ha necessità, forse ancor più di quella di ieri, che la cultura del prendersi cura vada ad occupare spazi sempre più vasti nella sfera pubblica?”. Questa è la domanda da cui è partito Stefano Zamagni per sviluppare il suo ragionamento pubblicato sull’inserto Buone notizie de Il Corriere della sera dello scorso 1 maggio (CLICCA QUI).

L’intervento di Zamagni spiega il senso della nascita e dei contenuti di Politica Insieme, prima, e di Insieme, dopo. Cioè quello di un moto politico che nasce sulla base della consapevolezza che quanto si è fatto finora “non è più sufficiente per soddisfare il bisogno di felicità che ognuno avverte”. Ed è, quindi, necessario “recuperare l’altra nozione di responsabilità – quella vera – che discende dal latino res-pondus: farsi carico del «peso delle cose». Non basta, infatti, rispondere a; si deve anche rispondere di, di quel che avremmo potuto fare e non abbiamo fatto”.

Zamagni ritorna su una delle questioni essenziali dell’economia, delle relazioni sociali e della politica che è quella del “prendersi cura” inteso quale presupposto affinché “Stato e mercato possano funzionare in vista del bene comune” perché senza questo pre requisito “si potrà anche costruire un mercato efficiente ed uno Stato autorevole (e perfino giusto), ma non si riuscirà a risolvere quel «disagio di civiltà», di cui parla Freud. Due infatti sono le categorie di beni di cui ogni persona avverte la necessità: beni di giustizia e beni di gratuità. I primi – si pensi ai beni erogati dal welfare state – fissano un preciso dovere in capo ad un soggetto – l’ente pubblico o altri – affinché i diritti dei cittadini su quei beni vengano soddisfatti. I beni di gratuità, invece, fissano un’obbligazione che discende dal legame che ci unisce l’un l’altro. Infatti, è il riconoscimento di una mutua ligatio tra persone a fondare l’ob-ligatio. E dunque mentre per difendere un diritto si può, e si deve, ricorrere alla legge, si adempie ad un’obbligazione per via di gratuità reciprocante”.

Zamagni, però ricorda che mai nessuna legge “potrà imporre il prendersi cura e mai nessun incentivo potrà favorire la gratuità. Eppure non v’è chi non veda quanto i beni di gratuità siano necessari per il bisogno di felicità che ciascun uomo si porta dentro. Efficienza e giustizia, anche se unite, non bastano a renderci felici. Il Novecento ha cancellato la terziarità nella sua furia costruttivista. Tutto doveva essere ricondotto o al mercato o allo Stato o tutt’al più ad un mix di queste due istituzioni basilari”. È quindi necessario giungere alla comprensione di quanto il cosiddetto modello bipolare «stato-mercato» si ritrovi al termine del suo corso storico e che ci si sta avviando verso “un modello di ordine sociale tripolare: pubblico, privato, civile”.

Zamagni ricorda come ci sia un punto di riferimento importante. Quello costituito dalla riforma del 2001 del Titolo V della nostra Carta Costituzionale, laddove all’art.118 “viene introdotto esplicitamente il principio di sussidiarietà e si afferma che anche i singoli cittadini e le organizzazioni della società civile hanno titolo per operare direttamente a favore dell’interesse generale, senza dover chiedere generiche autorizzazioni”.

Zamagni conclude ricordando che la modernità si è retta su due pilastri: “il principio di eguaglianza, garantito e legittimato dallo Stato; il principio di libertà, reso possibile dal mercato. La post-modernità ha fatto emergere l’esigenza di un terzo pilastro: il prendersi cura, che traduce in pratica il principio di fraternità. Non è capace di futuro la società in cui si dissolve il principio di fraternità perché non può progredire la società in cui esiste solo «il dare per avere» e «il dare per dovere»”.