Le riforme e la cultura istituzionale

Le riforme e la cultura istituzionale

Mentre i gravi e stringenti problemi concreti del Paese sono abbastanza lontani da una qualche soluzione, la Presidente del consiglio chiama alla discussione sul presidenzialismo anche le forze di opposizione. Le quali accettano l’invito. Apparentemente tutto bene. Ma, al di là del garbo che non dovrebbe mai mancare, e in tutte le occasioni, tra le contrapposte fazioni, tutte chiamate dagli italiani ad occuparsi delle loro questioni, sia pure nella distinzione di ruolo e responsabilità, le opposizioni dovrebbero, sì, partecipare all’incontro, ma per limitarsi a dire a Giorgia Meloni che quella non è materia di competenza del Governo.

Diverso sarebbe stato se, sia pure rimettendo in piedi vecchie liturgie, la proposta fosse stata quella della definizione di un ambito parlamentare in cui dare corso ad un confronto cui non sarebbe male, a differenza di quanto fatto nel passato con le esperienze delle famose bicamerali (Bozzi, Iotti – De Mita, D’Alema), far partecipare il più possibile le rappresentanze della società civile. Esse, probabilmente, molto avrebbero da dire in materia, alla luce delle conseguenze che il mancato funzionamento delle istituzioni comporta sul piano amministrativo e di gestione della cosa pubblica, oltre che per ciò che riguarda l’economia e il sociale.

Dalle riforme costituzionali, così come da tutto ciò che riguarda gli ambiti delle questioni etiche, e questo lo abbiamo sostenuto già più volte, il Governo si dovrebbe tenere sapientemente lontano perché non si tratta di temi afferenti la gestione della cosa pubblica, bensì di quei fondamenti che vanno oltre i governi e le maggioranze, o le opposizioni, pro tempore.

A maggior ragione dopo la constatazione del progressivo allontanamento dalle urne della maggioranza degli italiani. Quello che è il partito più grosso d’Italia non l’ascoltiamo?

Giorgia Meloni e i suoi della maggioranza dimenticano che non hanno ricevuto un plebiscito. Il potere sì, ma non un pieno consenso. Anche la loro proposta politica non ha arrestato l’aumento dell’astensione, oltre che delle schede bianche e di quelle nulle. Al punto che, in relazione al totale del corpo elettorale, si può dire che questa maggioranza deve considerare di avere effettivamente solo circa la metà di quel 43% di consenso uscito dalle urne. E’ qualcosa che non conta? Anche qualcun altro andò al referendum forte di un 40% espresso però solo dal 40% del corpo elettorale e ne uscì sconfitto.

Un analogo ragionamento non può certo sfuggire a tutte le forze di opposizione le quali parlano di un cambiamento cui non stanno portando il contributo adeguato, divise come sono. Forse, il primo di questi contributi potrebbe proprio venire dal precisare a Giorgia Meloni, e ai suoi, che la via migliore per sviluppare un autentico confronto sui mutamenti istituzionali, ciò che non è sono solo questione “loro”, cioè della maggioranza e dell’opposizione, bensì di tutto il Paese, sarebbe bene trovare adeguate e sostanziali forme di partecipazione.