Il Terzo Polo naufraga sugli scogli del leaderismo

Il Terzo Polo naufraga sugli scogli del leaderismo

Molto spesso, anzi troppo spesso, le due domande comunemente rivolte a chi avvia un’iniziativa politica in Italia sono molto semplici e dirette: chi è il vostro leader e con chi state.

La cultura politica di questo Paese si è così immiserita ed inaridita al punto che il pensare politico non conta più niente. Con la fine delle idee se n’è andato anche un’altra delle peculiarità, e risorsa, della politica: la capacità progettuale. E, allora, sono trent’anni che gli italiani partecipano ad un pericoloso gioco costituito dalla demonizzazione e lontananza dalla politica. Una politica non più basata su idee e progetti, ma vittima dell’imbonitore di turno. In un sistema divenuto sempre più cagionevole abbiamo assistito ad una serie di “declamazioni” e a racconti del futuro completamente diversi da quella che poi si rivela la pratica di governo. Così si spiega perché dopo decenni di sviluppo e di crescita, cose abbastanza diverse tra di loro, ma dagli anni ’50 in poi simili nella tendenza verso l’alto, l’Italia ha perso consistenti posizioni in tutte le classifiche internazionali che contano. Ed ha finito anche per contare di meno.

L’elenco di ciò che caratterizza il nostro progressivo impoverimento è davvero lungo da stilare. Va dagli aspetti istituzionali; a quelli economici, in particolare per ciò che riguarda l’occupazione e la precarietà del lavoro, la de-industrializzazione con il contemporaneo indebolimento del sistema delle PMI; ai vigorosi colpi portati a due sistemi “universali” quali quelli della sanità e della scuola; e così via.

La compressione forzata dentro lo schema del bipolarismo non ci ha arricchiti. Complice anche la mancanza di una struttura comunicativa degna di un paese civile, ha finito per ridurre tutta la dialettica politica alle due domande banali, ma fortemente giustificate dalla logica del sistema, di cui sopra.

Le vicende, per alcuni versi paradossali, cui ci fa assistere il Terzo Polo in queste ore è del tutto coerente con questa ricostruzione delle italiche cose.

Emergono sì i problemi di cassa che riguardano le risorse pubbliche destinate ad Azione e a Italia Viva. Ma quel che più conta sono, appunto, tutte le difficoltà legate alla guida, quella vera e concreta, del possibile nuovo soggetto e alla sua collocazione.

Lo abbiamo già scritto più volte che i due principali attori di questa vicenda appaiono “un po’ troppo presi ancora a misurare i risultati della politica in relazione alle loro vicende personali e dei più stretti gruppi che stanno loro attorno” (CLICCA QUI).  Ma c’è poi una questione politica più pregnante qual è quella costituita dallo schierarsi. Se non si punta decisamente a porsi in alternativa all’intero sistema politico, è evidente la difficoltà insita nel muoversi  nello schema del bipolarismo che spiega e giustifica la domanda “ma con chi stai?”.

La logica perseguita finora da Carlo Calenda è quella dell’autonomia, ma che ci sembra resti sempre esclusivamente funzionale alla collocazione nell’esistente. Renzi, autentico funambolo del “movimentismo” della politica italiana, è da anni indicato come colui che si candida a fare da calamita di una Forza Italia poco intenzionata a morire leghista o meloniana. E tra l’altro, tra i berlusconiani, chi già non ha abbandonato il partito per tempo sa benissimo di doversi mettere in fondo alla fila di quelli che l’abbandono, invece, l’hanno consumato.

Il problema del passaggio di Matteo Renzi a Il Riformista, e la conseguente irritazione di Calenda, è all’interno di questa logica. E, per dirla alla Calvino,  il Terzo Polo rischia di diventare un qualcosa che sa, insieme, di “Cavaliere inesistente” e di “Visconte dimezzato”.