Come finiscono i partiti “del padrone”

Come finiscono i partiti “del padrone”

Si vocifera di una nuova possibile scissione in Forza Italia. Con lo stesso ardore con cui Silvio Berlusconi è stato continuamente esaltato nel lungo arco della sua “discesa in campo”, siamo oramai a trent’anni esatti, in molti lo hanno progressivamente abbandonato: “O quam cito transit gloria mundi”.

Al di là dei singoli giudizi che possiamo dare sui “voltagabbana”, spesso sono gli stessi che questa definizione dispregiativa dettero di quelli che avevano osato abbandonare Berlusconi prima di loro, la riflessione che più conta è quella sulla logica che sta alla base dei partiti personali, o “padronali”. Dietro la petulante celebrazione si cela quasi sempre lo scambio d’interessi. A maggior ragione in un sistema politico basato sul criterio della scelta dei “nominati”. I quali, ben lontani dallo spirito dell’art 67 della Costituzione, che recita “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”, finiscono per preoccuparsi esclusivamente dei desiderata di chi li ha messi in lista e molto meno, se non per niente, del collegio in cui sono stati eletti.

Tutto fa parte della logica dello scambio in cui è stata costretta la nostra vita pubblica. E molto lo si deve all’inesistenza di regole dirette a definire la vita interna dei partiti e ad una legge elettorale che si è rivelata fortemente antidemocratica, in relazione al senso più profondo del termine Democrazia. Una legge, lo abbiamo constatato anche recentemente, che alla fine nessuno vuole cambiare perché è sempre meglio accontentarsi di quel poco che, comunque, il bipartitismo concede ai partiti interessati a tutelare la sostanza che loro sta a cuore, così come a quegli interessi trasversali esterni alla politica che li condizionano.

E’ molto chiaro che le vicende interne a Forza Italia sono seguite con attenzione sia tra le fila della maggioranza, sia tra quelle di alcune parti dell’opposizione. Nel primo caso, perché l’ulteriore indebolimento di Berlusconi significherebbe il rafforzamento di Giorgia Meloni, anche nei confronti di Matteo Salvini. Nel secondo, perché la speranza è che gli abbandoni potrebbero finire per rafforzare l’ipotesi del decollo di un’area “diversa” e in grado di porre una più consistente ipoteca sul condizionamento del Pd e i 5 Stelle che, al momento, rappresentano il grosso dell’opposizione.

Ovviamente, sulla politica intesa come luogo di confronto di idee e di progetti tutto questo avrà un effetto molto relativo. Mentre è quello cui dovremmo pensare alla vigilia di scelte fondamentali che il Paese sarà chiamato a fare, a partire dalle occasioni in cui diventerà molto stringente il tema del rientro dal Debito pubblico e, quindi, si dovrà decidere quali strati sociali dovranno pagarne le conseguenze più di alte.

Al momento, però, siamo costretti a continuare con il “teatrino della politica”, espressione che Silvio Berlusconi fece sua tre decenni fa, quando si presentò agli italiani con la promessa di cambiare le cose e quando certamente non pensava che anche il suo partito si sarebbe progressivamente spento come … un cerino.