Perché così disumani con i migranti sulle navi ONG?

Perché così disumani con i migranti sulle navi ONG?

La questione delle migrazioni, soprattutto di quelle illegali, non è facile da affrontare e risolvere. I fenomeni migratori non cesseranno fino a quando il mondo sarà tanto pieno, com’è, di squilibri economici e sociali, oltre che di guerre, di conflitti non dichiarati ma altrettanto reali, e di una sostanziale mancanza di democrazia politica ed economica i fenomeni migratori non cesseranno. Anzi.

E’ sicuramente più facile rifugiarsi nella chiusura, nella promessa dell’innalzamento di mura o di chiusura dei porti. L’amara realtà delle cose si rivela per quello che è. E anche un governo come quello attuale, fatto dai figli di chi concepì la cosiddetta Bossi – Fini, servita solo ad aggravare il problema per ciò che riguardava l’Italia, oltre che favorire quella forma di moderna schiavitù che anche ai nostri giorni sfrutta il lavoro dei più deboli, si trova di fronte agli sbarchi che continuano e alle navi Ong che suppliscono a quello che dovrebbe essere il dovere pubblico della salvaguardia delle vite in mare.

I famosi  bocchi navali e i “porti chiusi” si sono trasformati nell’invio delle navi Ong in porti il più lontano possibile approfittando delle leggi internazionali del mare che sono sì forti e non lasciano molti dubbi alle interpretazioni ma che. talora, lasciano la possibilità di interpretazioni di comodo.

Un punto di riferimento normativo è sicuramente quello della Convenzione Unclos sul diritto del mare, detta anche   di Montego Bay (CLICCA QUI) che vincola al soccorso obbligatorio in mare per tutte le persone in pericolo e, cosa che il nostro Paese delega, di fatto alle Ong, richiede “… la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza e … collabora a questo fine con gli Stati adiacenti tramite accordi regionali.”.

Ma questi principi generali non portano ad un chiarimento completamente su che cosa significhi, ad esempio, “porto sicuro” o “porto vicino”, termini diventati familiari per le tante polemiche che hanno riguardato, e riguardano, la destinazione delle navi che soccorrono in mare i migranti diretti verso le nostre coste. Su questi punti “opinabili” si è mossa la decisione delle nostre autorità in relazione con gli ultimi salvataggi. Migranti costretti a giorni e giorni di navigazione in più senza alcuna logica apparente.

Abbiamo, però, sentito dire a qualcuno che la spiegazione, invece, ci sarebbe e sarebbe quella di utilizzare queste decisioni come “deterrente” per limitare il numero di quelli che si affidano a barconi fatiscenti per attraversare il Mediterraneo.

C’è evidentemente chi pensa che veri e propri disperati si facciano distogliere da quattro giorni in più di mare? Parliamo di quelli che, magari, che giungono sulle coste della Libia provenienti dal profondo dell’Africa, o dall’Etiopia o, ancora peggio, da Afghanistan e Pakistan, in questo caso parliamo cioè di circa 5000 chilometri percorsi nelle maniere più improbabili. Parliamo di famiglie con minori. Di donne violentate ripetutamente. Di relitti umani tenuti a marcire in quelli che sono veri e propri luoghi di violenza come ci raccontano le cronache dei campi di raccolta libici.

C’è un qualcosa di disumano in una tale affermazione che non ci fa onore, comunque la mettiamo. E ciò dovrebbe far riflettere anche tutti coloro che si affollano a proclamare il loro essere cattolici mentre sono politicamente impegnati con la destra. Un qualcosa che il paio con quelli che, per altri aspetti, e mancanze, anche sui temi dell’immigrazione, s’impegnarono a sinistra.

Una voce diversa è venuta, in occasione della giornata internazionale della Giustizia sociale lanciata dall’Onu, dalla Commissaria europea all’Uguaglianza, Helena Dalli, la quale ha sostenuto che “esistono dei dispositivi di legge internazionale ed europea che sanciscono chiaramente il dovere di soccorso a garanzia della sicurezza della vita in mare, indipendentemente dalle situazioni che hanno causato la messa in pericolo delle persone a mare”.

Alessandro Di Severo