Un Centro per trasformare il Paese – di Giancarlo Infante

Un Centro per trasformare il Paese – di Giancarlo Infante

Nell’intervista concessa da Matteo Renzi a Il Corriere della sera (CLICCA QUI) c’è la constatazione di come si siano aperte le condizioni per la nascita di un Centro politico. E il nostro amico Guido Guidi, giustamente, di questo Centro  va a cercare le giustificazioni “ideologiche”, in particolare per ciò che riguarda i diritti (CLICCA QUI). Quelli della Persona e quelli collettivi.

Da anni alcuni di noi lavorano per la nascita di qualcosa d’altro rispetto alla frattura bipolare in cui è precipitato il Paese nel corso degli ultimi decenni. Auspicando l’arrivo di una legge elettorale d’impronta proporzionale perché l’unica in grado di allargare la base democratica e tornare a dare viva voce alla pluralità di quelle forze sociali che sono molto più forti di chi le guida politicamente. L’Italia questa esperienza l’ha già vissuta dopo la Prima guerra mondiale che aveva costituito il primo e vero ampio coinvolgimento degli italiani, finalmente intesi come popolo; anche se, forse, allora, sarebbe stato più opportuno parlare ancora di più popoli, certamente tra di loro ancora tanto diversi, ma che, per la prima volta, nelle trincee mettevano in pratica, e pagando un prezzo sanguinosissimo, l’auspicio del D’Azeglio di “fare gli italiani”.

Oggi, il ragionamento sulla creazione di un Centro autentico si pone nelle condizioni più difficili come sono quelle determinate da una legge elettorale che, semmai, stimola all’arroccamento dei due campi contrapposti, inevitabilmente destinati a vivere la logica dello scontro, della estremizzazione dei concetti e delle posizioni. Un lusso che l’Italia e gli italiani, nelle condizioni date, non si possono concedere. Eppure, l’idea di porre un primo mattoncino verso l’apertura di una nuova stagione dev’essere coltivata e irrobustita dal forte impegno sulle questioni vere che interessano gli italiani e verso le quali essi guardano con estrema preoccupazione.

In cima a tutto c’è la questione politico – istituzionale. Questo Paese è in buona parte non governato. Non nel senso che manchino leggi e norme o, nella sua pienezza, la struttura che riesca a farle rispettare. Manca, però, la visione strategica, un’idea su come si debba rimettere mano a quella complessità di meccanismi che, ad esempio, rilancino la struttura educativa e formativa, per qualche aspetto siamo costretti a tornare al D’Azeglio, e  ci si preoccupi di quella parte ricadente nella responsabilità collettiva dell’evoluzione culturale ed umana delle nuove generazioni.

Abbiamo in primo luogo il dovere d’interrogarci, e di intervenire politicamente, sulle trasformazioni anche antropologiche che ci riguardano e che non possono essere ridotte solamente a motivi di scontro ideologico o a divenire slogan pubblicitari, con la inevitabile strumentalizzazione commerciale che ne viene già oggi fatta.

Ovviamente, c’è tutto il resto. Un qualcosa di fondamentale che afferisce alle questioni economiche, alla disoccupazione, ai problemi che vivono le nostre famiglie, alle divisioni sociali e geografiche che s’intersecano e s’inseriscono in quelle dinamiche che, oggi, ci fanno parlare di un allargamento delle povertà. Cui, come ci ha più volte ricordato Natale Forlani, bisogna comunque guardare togliendosi gli occhiali di vecchie predisposizioni culturali e, persino, ideologiche.

Una nuova stagione, già oggi può essere aperta, a partire anche dalla campagna elettorale, mettendo insieme l’efficienza istituzionale, amministrativa e economica con un più pronunciato impegno per la solidarietà. Il Centro non può essere un luogo di geometria politica, bensì la raccolta di quelle capacità che sanno rispondere realmente nella visione strategica, nella postura politica, e persino nel linguaggio, a quella complessità propria di una società moderna che, inevitabilmente, sa distinguere la mediazione dal compromesso elettoralistico, sa fare dell’efficientismo non un fatto economicista, bensì una risposta pratica e concreta alle difficoltà esistenziali dei più mentre riesce a farsi interprete di un progetto di rigenerazione capace di suscitare una nuova voglia di occuparsi della cosa pubblica al fine di creare una società più dinamica e rispettosa di tutti i suoi componenti, singoli, famiglia, corpi intermedi che siano.

Il Centro, dunque, se vogliamo continuare ad utilizzare questa formula, non può essere pensato per mantenere lo status quo, ma per avviare una vera rinascita collettiva. Un impegno con tutti quelli che ci stanno verso quella trasformazione indicata dal Manifesto Zamagni (CLICCA QUI) che resta, in ogni caso, il nostro principale punto di riferimento

Giancarlo Infante