Cambiamo o arriva la tempesta – di Guido Puccio

Cambiamo o arriva la tempesta – di Guido Puccio

L’inflazione non si ferma e tutte le previsioni, anche autorevolissime che la volevano “temporanea” sono saltate.

Governi e banchieri centrali si trovano a dover risolvere un’equazione non facile: alzare i tassi di interesse per fermare il mostro; contenere non si sa bene come gli “spread” per Italia, Spagna e ora anche Francia; difendere l’euro contro l’attacco dei mercati americani e inglesi. Una equazione a tre incognite quindi, certo tra le più complesse.

Poi c’è la guerra che cambia tutto: non un conflitto locale ma una vera e propria sfida contro l’occidente, ovvero contro una concezione delle libertà, del sistema democratico, del rispetto dei diritti umani che sono alla base della nostra convivenza. E non finisce qui. Non è detto che la pandemia sia finita, visto che il virus maledetto non demorde, cambia nome e non sappiamo quanto sarà virulento nei prossimi mesi.

Ce ne sarebbe già abbastanza per avere la percezione diffusa che le condizioni di vita che ritenevamo normali non ci sono più. Non sono infatti più scontati  gli accessi alle fonti energetiche, all’acqua, ai presidi per la salute, ai percorsi scolastici ordinati, alla quotidianità del lavoro. Forse stiamo vivendo una delle grandi svolte della storia contemporanea dove nel breve volgere di pochi anni il mondo  cambia e tutto è a rischio.

Un autorevole banchiere centrale inglese prevede una “spaventosa recessione imminente” e tre giorni fa un economista americano tra i più ascoltati, il professor Nouriel Roubini, ha scritto “di ritenere inevitabile la convivenza a breve tra inflazione, recessione e crisi del debito”. In pratica quello che era avvenuto negli anni Settanta, con la lunga recessione dopo lo shock petrolifero, insieme a quello avvenuto più recentemente nel 2008 con la crisi globale della finanza. Il peggiore degli scenari secondo gli accademici.

Per ora tutte le iniziative dei governi europei sono nel senso di tamponare l’emergenza: dalle riduzioni fiscali sui prezzi dell’energia (in quasi tutti i Paesi europei) alle agevolazioni per chi si muove (in Germania un biglietto unico mensile di 9 euro per tutti i trasporti) alla abolizione o quasi dell’iva sui beni alimentari di prima necessità (come avevano fatto i tedeschi ed ora la Repubblica Ceca) agli interventi sugli affitti, ai banchi alimentari, ecc. Tutti interventi che rispondono alla logica delle esigenze più immediate ma che non potranno protrarsi a lungo.  Né sarà la sperata fine della guerra a risolvere il problema dell’inflazione, e quindi dei prezzi, e quindi della pace sociale.

C’è ben altro all’origine della tempesta. Sicuramente tra le cause c’è lo strapotere della finanza. Prima ancora che scoppiasse il conflitto in Ucraina i prezzi di petrolio, gas, grano, acciaio, caffè, fertilizzanti e altri beni erano già in forte tensione spinti dai “future”, ovvero dai derivati finanziari, titoli virtuali che rappresentano scommesse fuori dai mercati regolamentati sulle attese delle variazioni dei prezzi.

Una massa colossale di capitali stimata dalla Banca Internazionale dei Regolamenti almeno dieci volte l’intero PIL mondiale. Fondi di investimento, istituzioni finanziarie più o meno note (le famose “shadow bank”, banche fantasma) operatori spregiudicati, intermediari, piattaforme di trading, promotori, banche d’affari che investono sui prezzi attesi, al rialzo o al ribasso. Eccola la differenza con la crisi degli anni Settanta: a quel tempo il capitale era impegnato prevalentemente sulla produzione. Oggi è impegnato sulla finanza speculativa. Profitti maledetti e subito e quindi via, per puntare su un altro cavallo.

A che servono i grandi consessi del G20, del G7, del Fondo Monetario, della Banca Mondiale se non a decidere di porre fine a questo gioco d’azzardo permanente? Ci saranno pure strumenti giuridici adeguati per imporre almeno alcune regole che riportino la finanza vicina al suo ruolo originario che era quello del supporto alla produzione, allo scambio, alla logistica, agli investimenti che producono valore. E se la politica non serve a questo, a che serve?

Inutile rivendicare la superiorità dei nostri ordinamenti democratici e liberali rispetto a quelli delle autocrazie che vediamo ad oriente, o assistere alle meravigliose conquiste della scienza e delle tecnologie in continua evoluzione se restiamo appesi a un sistema economico dove è lo stravolgimento dell’uso del capitale finanziario che detta le regole.

Alla fine, il problema del salario che non basta più per arrivare alla fine del mese, con quanto ne consegue per chi ci governa, comincia da qui.

Guido Puccio