Europa e Ucraina: la Libertà e la Pace – di Domenico Galbiati

Europa e Ucraina: la Libertà e la Pace – di Domenico Galbiati

( pubblicato su www.politicainsieme.com)

Europa….Europa…. Bastasse evocarla a gran voce… In effetti, fino a che punto c’è davvero l’Europa? E quale Europa?
O addirittura non ce n’è, per caso, più d’una ed ogni stato membro, almeno tra i maggiori, non ne coltiva forse la propria idea?

La guerra in Ucraina rappresenta un momento di verità per il nostro Vecchio continente. Come se l’ Europa, guardando negli occhi l’Ucraina ferita, vi trovasse un riflesso della sua storia, la memoria traumatica delle devastazioni che ha inferto a sé stessa nei due conflitti mondiali del secolo scorso. Una ferita che evoca fantasmi da cui vorrebbe ritrarsi. Eppure non può perché, nel contempo, nel volto deturpato di un popolo violentato, riconosce quel vincolo indissolubile tra Libertà e Pace che rappresenta la cifra originaria del suo cammino unitario, talmente faticoso. Come se gli eventi ci lanciassero un guanto di sfida ed all’Europa spettasse raccoglierlo oppure girare lo sguardo dall’altra parte e fingere di non vederlo.

Si potrebbe dire – se non si temesse di offendere coloro che sono caduti in questo orribile conflitto – che la ferita aperta nel suo fianco sia una prova ultimativa, ma anche l’opportunità di ritrovare il fondamento delle proprie ragioni. “Ut omnia convertuntur in bonum”: se fosse possibile mutuarlo da tutt’altro contesto, un tale principio non dovrebbe essere la quintessenza della capacità e del valore di uno statista oppure della lettura collettiva di un momento storico, sul piano della sua concreta fattualità?

Qual è il banco di prova su cui costruire l’Europa? Il distillato degli alambicchi normativi di Bruxelles oppure quell’interpretazione della sua cultura millenaria che ha portato ad occultarne le radici cristiane, pretendendo, in tal modi, di riconoscerle come risorsa e potenzialità irrinunciabili? Oppure l’ Unione Europea può nascere solo nel corpo vivo e sofferto della vicenda storica ? Come fu alle sue origini, nel pensiero dei padri fondatori.

Le grandi architetture istituzionali, quelle destinate a durare nel tempo, possono essere il frutto di una studiata e pedante “razionalità” politologica o non sono piuttosto il portato di una passione civile, l’approdo, si potrebbe dire, di un imperativo storico e morale, che si struttura e si codifica nella legge fondamentale di una Costituzione che, di per sé, dà conto ed incarna il valore della libertà nell’ accadere degli eventi ? Ad ogni modo, anche ove non fosse scoppiato il conflitto in corso, la domanda si imporrebbe comunque: il progetto di unità politica dell’Europa è ancora in agenda oppure il suo tempo è scivolato via ed è difficile, forse impossibile, almeno per chissà quanto ancora, riacciuffarlo ? La questione va posta con franchezza.

Dopo l’affossamento della CED, la storia ci sta offrendo un’ altra chance? Ed ammesso che di questo si tratti, non la stiamo forse sciupando ancora una volta? Aspetteremo un altro tornante della storia, altri settant’anni per riproporre la questione? O siamo determinati a condurla in porto in questo frangente, cosi drammatico e, a suo modo, ultimativo, attraverso la capacità maieutica di trarre dal buio della guerra lo squarcio di luce di una prospettiva storica straordinaria?

Che cosa frena il nostro passo? La questione non concerne forse, in ultima analisi, il tenore morale che manca, quel torpore della coscienza dei popoli “benestanti” su cui le “autocrazie” vorrebbero investire le loro fortune ? In effetti, le nostre generazioni che non hanno vissuto la dittatura e lo schianto della guerra, più o meno scientemente, percepiscono la Democrazia, il valore inestimabile della libertà come qualcosa di dovuto, una manna che cade dal cielo, un dato di natura.

Insomma, un diritto. Ma non è così. Esaminata dal punto di vista della sua genesi storica, si potrebbe dire che la democrazia in natura non esiste, ma è piuttosto una conquista della “cultura”. E’ sì l’approdo delle istanze che nascono dall’ interiorità originaria e, dunque, incontrovertibile della persona, eppure si struttura nel tempo come portato della somma di doveri, di sacrifici e di passioni, di speranze e di sconfitte, di vitalità e di morte – sì anche di morte – che hanno accompagnato la storia di ogni popolo che ha voluto liberarsi. Abbiamo dimenticato che la democrazia e la libertà non sono da porre alla stregua degli scontati beni di consumo in cui nuotiamo, bensì hanno una drammaticità insopprimibile, tale per cui esigono un prezzo che va pagato giorno per giorno.

Quando Draghi ha chiesto se preferiamo la libertà o piuttosto il condizionatore, ha posto una questione eminentemente morale, prima che politica. Ci ha chiesto di scegliere tra una prassi “mercantile” che, fondata su una sorta di bilanciamento meccanico tra opportunità e convenienze, rappresenta l’abito mentale che più volentieri indossiamo ed una logica retta da principi e valori non soggetti all’usura del tempo. Senonché, quasi nessuno ha avvertito che il senso di quella domanda, più che nel merito, consisteva, appunto, in questo. Nella “pretesa”, potremmo dire, talmente un tale approccio può apparire desueto, di raccordare un indirizzo da assumere sul piano dell’agire politico, non ad un dato di mera e contingente opportunità, bensì ad una valutazione morale, cioè alla capacità o meno di adottare un certo costume, di maturare un’ attitudine, per la quale una certa scala di valori è assunta con ragionato rigore e non lasciata all’ aleatorio ed un po’ garrulo indice di gradimento che vale all’istante.
Insomma – detto incidentalmente perché su questo sarebbe necessario tornare in un altro momento – Draghi sembra assumere sempre di più la fisionomia dell’autentico contraltare del populismo. Agli antipodi della demagogia.
E sarebbe una grande lezione se il Paese la capisse.

Quando Draghi ha posto il dilemma di cui sopra, c’è stato chi per sottrarsi ha finto di scandalizzarsi, chi è talmente lontano da una tale questione che si è scandalizzato davvero, chi ha finto di non capire, chi ha fatto orecchie da mercante, chi si è mostrato irridente e chi ha respinto l’invito al mittente. A quanto pare, c’è una misura crescente di sordità civile in Italia e nel resto dell’Europa, che intralcia, frena e limita la stessa azione del potere politico, indotto, una volta tanto, a sacrificare la lucidità dell’analisi all’ indifferenza della pubblica opinione.

Molti, forse troppi italiani ed europei ne hanno le tasche piene della resistenza degli ucraini e vorrebbero godersi in pace l’estate per rientrare dalle ferie senza il timore delle restrizioni che minacciano di increspare il ritmo collaudato della loro vita. Viva, dunque, la pace, ad ogni modo e purchessia. La Pace, quella vera, è indissolubilmente legata alla Libertà . E quest’ultima – quella dell’Ucraina, ma anche la nostra – soffrirebbe un grave limite se il suo fondamento fosse non una pace “giusta”, ma l’ opportunistica “normalizzazione” di un inaccettabile vulnus al diritto dei popoli.

Domenico Galbiati