L’America che dissente – di Giuseppe Sacco

L’America che dissente – di Giuseppe Sacco

Il grande storico liberale Rosario Romeo,  autore di una biografia di Cavour dopo la pubblicazione della quale – dicono con invidia gli altri storici –  nessuno di loro si potrà più avventurare in analoga impresa, non rifuggiva né dall’impegno politico diretto né dall’analisi in tempo reale, come si direbbe oggi, della politica internazionale. Egli fu infatti  anche eletto per il PRI a Strasburgo ed a lungo collaboratore del “Giornale” di Montanelli, due scelte che non lasciavano dubbi quanto al suo orientamento politico.

Instancabile critico della profittevole tendenza della intellighenzia italiana a “simpatizzare” per il PCI, egli fu dunque un liberal-conservatore di area laica, i cui giudizi politici ed i cui articoli si distinguevano però per profondità ed anticonformismo.

Romeo non esitava infatti a fare notazioni  che la grande  maggioranza di coloro che militavano nel suo stesso campo avrebbe considerato sorprendenti o addirittura “scomode”.  Notazioni sorprendenti, come quando giunse a definire “neanche animista” chi dimostrava insensibilità ai fenomeni religiosi. E notazioni scomode, in particolare sulla società americana dove, come Romeo non cessò mai di criticamente sottolineare, era quasi del tutto inesistente un elemento che in Europa veniva allora considerato come essenziale in una società democratica: la stampa d’opposizione.

Invano, infatti, negli USA dei suoi tempi – Romeo è morto nel 1987, due anni prima della fine della Guerra Fredda – si sarebbe cercato l’equivalente, non soltanto de “L’Unità” ma anche de “L’Espresso” di Arrigo Benedetti o de “Il Mondo” di Mario Pannunzio. Ed era questo, spiegava lo stesso Romeo, un altro aspetto di quella  cultura politica che nell’agone politico si esprimeva col cosiddetto “consenso passivo”. Cioè col fatto che l’intero paese si sentiva ben rappresentato da elezioni cui partecipava poco più della metà dell’elettorato.

Il nuovo conformismo europeo

Quanti cambiamenti dopo di allora! La molteplicità dei punti di vista sembra essere scomparsa dalla stampa europea,  e per constatarlo basta fare attenzione al coro degli atteggiamenti critici nei confronti della Russia della Cina e dei loro leader.  In America, dall’altro canto, il cambiamento non è stato meno notevole. Non solo l’affluenza degli elettori alle urne è molto aumentata – e lo si è visto nell’ultimo contestatissimo scontro tra Biden e Trump – ma molti media tradizionalmente aperti al confronto delle idee, New York Times in testa, parlano oggi apertamente di una società lacerata, del rischio di una nuova guerra civile, indicando i Repubblicani di non più come semplici avversari, ma come un nemico interno, addirittura un nemico della Patria.

Questa visione  manichea  di una congiuntura politica già di per se obiettivamente delicata si estende, anche se con toni meno estremi anche gli osservatori europei. Troppo pochi tra questi si accorgono del fatto che oggi in America ci sono sofisticati cenacoli intellettuali la cui collocazione critica rispetto alla loro stessa società ricorda quella del “Mondo” o de “L’Espresso” degli anni 60 e 70. E per accorgersene basta sfogliare niente altro che Foreign Affairs, la rivista del Council on Foreign Relations, al tempo stesso tempio dell’establishment statunitense e think tank della politica estera degli Stati Uniti.

In questo mese di gennaio che rischia di passare tragicamente nella storia dell’Europa, è infatti dalle  pagine di questo importante bimestrale che è venuta la critica più esplicita del comportamento americano nella  crisi ucraina.

C’é un’America del dissenso (e non è quella di Trump)

Non solo  gli Stati Uniti vengono presentati come impegnati su troppi fronti in giro per il mondo e come una potenza che ha più rivali di quanto essa possa ragionevolmente fronteggiare (Hal Brands, The Overstretched Superpower : Does America Have More Rivals Than It Can Handle?). Ma all’alleanza da Washington capeggiata viene esplicitamente consigliato se non di ridurre, almeno di non ampliare più il numero di paesi membri. Perché essa è troppo grande, e troppo spesso causa di conflitti non necessari Michael Kimmage,(CLICCA QUI). Un consiglio che tocca direttamente il punto più caldo la crisi attuale, la ventilata adesione dell’Ucraina ad una alleanza militare cui – si sostiene – qualsiasi paese che si sente minacciato avrebbe “diritto” di aderire.

L’alleanza –  afferma esplicitamente questo articolo the Foreign Affairs –  non è più “adatta all’Europa del ventunesimo secolo. E non  perché così dice il presidente russo Vladimir Putin, o perché Putin sta cercando di usare la minaccia di una guerra più ampia in Ucraina per imporre la neutralità a quel paese e per fermare l’espansione dell’Alleanza. Ma perché la NATO soffre di un grave difetto di progettazione: essendo che aspetta in profondità nel calderone della geopolitica dell’Europa orientale, cosa è troppo grande, troppo poco definita e troppo provocatoria per il suo stesso bene.”

Sono questioni e posizioni che il lettore europeo non farà fatica a riconoscere come le più rilevanti dell’attuale contingenza internazionale,  e cui è legata un’imminente minaccia di guerra nel Vecchio Continente. Questioni e posizioni sulle quali è dunque indispensabile che un’intesa venga cercate tra le due sponde dell’Atlantico.

L’immagine degli Stati Uniti che Rosario Romeo ricaverebbe oggi la situazione internazionale è infatti diversa da quella di un paese dominato dal consenso passivo e in cui non esiste neanche un giornale di opposizione; cioé l’immagine che la propaganda vorrebbe far credere su questa sponda dell’Atlantico. L’America non è al bordo di un colpo di stato o di una guerra civile tra due nuove incarnazione del “Bene” e del “Male”, tra liberals e Trumpiani.  Gli Stati Uniti – come ben sanno i lettori di Foreign Affairs – sono una  società in cui è presente una molteplicità di punti di vista sulla collocazione e sul ruolo dell’America nel mondo;  punti di vista con alcuni dei quali quegli Europei che  hanno a cuore il destino dei loro paesi possono abbastanza facilmente riconoscersi, e stabilire – oggi che le barriere ideologiche del 900 appaiono ormai superate – rapporti di collaborazione transatlantica orientati alla pace ed alla salvaguardia del pianeta.

Giuseppe Sacco