Kazakhstan: crisi interna che diventa internazionale – di Giuseppe Sacco

Kazakhstan: crisi interna che diventa internazionale – di Giuseppe Sacco

Non appena si era sparsa la notizia dei disordini avvenuti in Kazakhstan, la televisione italiana ha parlato di una nuova “rivoluzione colorata”, cioè di un nuovo episodio di quel fenomeno che nel giro di qualche anno ha portato ben 10 paesi dell’ex blocco sovietico o addirittura facenti parte dell’Unione Sovietica ad entrare nella Nato. Lo stesso fenomeno che ha creato in Ucraina una situazione a causa della quale si è temuto che la Russia stesse per effettuare un’operazione militare destinata a portare le sue truppe fino al Dniepr,  cioè fino al confine naturale interno che, in questo paese,  delimita la zona ad oriente (ed a Sud) della quale la popolazione non è di lingua ucraina. E fa parte di quei 25 milioni di Russi che il collasso dell’Unione Sovietica  ha lasciato come minoranze nazionali, fuori dal loro paese.

Ebbene, non era così. Anche se questo interessante lapsus quasi freudiano la dice lunga su quel che veramente pensano coloro che ogni giorno dai media esaltano il carattere “democratico” e “libertario” delle opposizioni nelle  repubbliche post-sovietiche  e nella stessa Federazione Russa, la crisi dei giorni scorsi in Kazakistan non sembra appartenente alla categoria di quei regime changes che abbiamo visto un po’ dappertutto nello scorso decennio.  Capolavori di rispetto dell’indipendenza, di “non ingerenza” nelle questioni interne degli altri paesi, come l’abbattimento del regime di Gheddafi da parte delle truppe speciali si Sarkozy, o addirittura – come in Georgia – della  nomina a Presidente della Repubblica di una persona che era stata fino a qualche giorno prima l’Ambasciatore di Francia nella capitale georgiana, Tiblisi.

Non è questo, invece il caso della  crisi in corso in Kazakistan,  e probabilmente destinata a durare a lungo in futuro. Si tratta di una crisi interna, almeno per il momento, anche se è inevitabile che potenze estere vi vengano coinvolte,  perché il paese – popolato da circa 20 milioni di esseri umani di diverse e religioni,  sparse su un territorio pari per estensione a quello di tutta l’Europa occidentale,  e ricco di ogni tipo di risorsa mineraria – fa gola a molti  dei suoi vicini, così come alle grandi potenze mondiali.

Progressivamente russificato, dapprima dagli Zar, poi dal regime sovietico, questa non secondaria porzione delle terre emerse ha goduto, nel trentennio successivo all’implosione dell’Urss, del privilegio – molto raro negli ultimi decenni – di essere governata da un leader dalle eccezionali capacità politiche.

Figlio di un pastore analfabeta, operaio metalmeccanico in gioventù, Nursultan Nazarbaiev,  già Segretario del partito comunista del Kazakistan quando questo  faceva parte dell’Unione Sovietica,  e poi Presidente dopo l’indipendenza, ha saputo infatti destreggiarsi tra le diverse componenti della popolazione, che è per un quarto russa o  Ucraina, e  solo per due terzi kazaka.  Con la complicazione che i Kazaki sono divisi in tre grandi gruppi  tribali, dette “Orde”, una delle quali – la “Piccola Orda”,  russificata al tempo degli zar –  ha mantenuto caratteristiche patriarcali,  mentre la “Grande Orda”, russificata dopo rivoluzione, presenta spiccate caratteristiche egualitarie ; che sono poi quelle che hanno consentito a Nazarbaiev di emergere socialmente. Meno fortunata la “Media Orda”, pastori nomadi le cui terre furono sconvolte dal gigantesco programma di trasformazione agricola messo in atto all’epoca di Kruschev : la cosiddetta “ conquista delle terre vergini”  che, assieme all’irrigazione, ha portato nel paese milioni di contadini russi.

Riuscito a far convivere in pace queste principali componenti della popolazione – cui vanno aggiunte due importantissime minoranze. una tedesca ed una coreana – questo “Padre della nazione”, che però ha oggi ben 82 anni,  ha anche saputo tenere buoni rapporti con i tre grandi vicini,  la Russia, la Turchia e la Cina.

Homo sovieticus egli stesso, è stato l’ultimo dei leader delle repubbliche non russe dell’ ex Unione Sovietica ad accettarne lo scioglimento,  e con l’antica madrepatria coloniale e politica ha sempre mantenuto ottimi rapporti, così da spegnere ogni rivendicazione irredentista della minoranza russa,  che vive proprio lungo il confine con la terra d’origine.

Nursultan Nazarbayev, che è stato sempre il principale sostenitore – più degli stessi Russi  e prima di Putin – di uno stretto patto di mutua difesa con Mosca,  a però saputo coltivare rapporti di crescente amicizia con la Turchia,  della cui lingua il kazako non è che una variante, ed ha attivamente partecipato alla collaborazione culturale che Ankara propone tra tutti I paesi turanici.

E tra questi ci sono ovviamente anche gli Uiguri, presenti con una non trascurabile minoranza nell’estremo est del paese, al confine con la Cina,  che di conseguenza apprezza molto il fatto di avere buoni e pacifici rapporti con il Kazakistan. Tanto più che da questo paese la Cina riceve importantissime forniture di materie prime,  tra cui idrocarburi ed uranio,  per i quali sarebbe altrimenti dipendente da paesi ostili e da difficili rotte marittime. E che attraverso il territorio kazako  passano analoghi flussi di importazioni provenienti dalla Russia, e la stessa “via terrestre della seta”.

L’apertura alla collaborazione con l’Occidente completa questo quadro.  Non solo nel paese sono ben accetti gli investimenti occidentali, ma con I paesi Nato il Kazakistan ha anche accordi di collaborazione militare. Ne ha persino uno con l’Italia, che verte soprattutto sul commercio le armi.

E questo quadro che risulta estremamente difficile da mantenere nella presente situazione internazionale, in particolare da un successore che difficilmente potrà avere le caratteristiche e le capacità del presidente uscente, a sua volta spiega I tumulti, che riflettono lo  scontro già  aperto per il potere. E mostra quanto rischia di essere traumatica la fase di successione da questo “Padre della patria”, che il 19 marzo 2019 si è dimesso da Presidente,  trasferendo i suoi poteri civili – ma non quelli militari – all’allora Presidente del Senato Kassym-Jomart Tokayev, una personalità che però, avendo trascorso molti anni all’estero come diplomatico, non dispone di una base politica interna.

Questi, con una mossa che potrebbe prestarsi a diverse interpretazioni politiche, ma soprattutto quella di distinguersi dal suo predecessore, per acquisire una sorta di “terzietà” nello scontro chiaramente in atto, ha il 5 gennaio 2022 tolto a  Nazarbayev il controllo delle forze armate di sicurezza, acquisendolo in prima persona. Egli si è così assunto la responsabilità di una repressione che, a quanto se ne sa, sembra essere durissima. E che, se da un lato è di cattivo auspicio per un sua futuro ruolo di presidente, non può non avere conseguenze a livello internazionale.

Ne sembra una prima conferma il fatto che la Russia e l’Armenia, suoi principali partner nel CSTO, l’accordo centroasiatico di sicurezza collettiva, abbiamo accordato al Kazakhstan e al suo nuovo Presidente quel sostegno, anche militare, che nel 2010, era stato ufficialmente negate al Kyrgyzstan con la motivazione che le violenze derivavano  da dissensi interni.

Giuseppe Sacco